“L’angolo del giallo” di Marina Caserta: Ted Bundy

 

Se avessi un amico carino, affascinante, nonostante sia un po’ fissato con la sua ex, studente alla facoltà di psicologia dell’università con ottimo profitto, sarei felice di avere accanto una persona che mostra interesse verso gli altri. La psicologia è una professione d’aiuto, dunque chi sceglie questo percorso formativo è teso verso l’ascolto dei bisogni altrui.

Se questo amico fosse anche attivo politicamente, ancor meglio. Vuol dire che è una persona interessata alla cosa pubblica, con interessi importanti e una fitta rete di amicizie.

Se fosse così empatico da sentire il bisogno di impiegare parte del proprio tempo come volontario per una sorta di telefono amico che presta aiuto a bisognosi, aspiranti suicidi e vittime di stupri, la maggior parte dei suoi amici sarebbe orgogliosa di lui. Io, invece, inizierei a sentirmi vagamente a disagio. Se pubblicasse un opuscolo per aiutare le donne a difendersi dagli stupri, molte donne approverebbero. Il mio disagio, invece, aumenterebbe esponenzialmente, trasformandosi in raccapriccio.

Se fosse così amorevole da salvare una bambina dall’annegamento, ecco, io fuggirei a gambe levate.

 

Perché questo è il ritratto di Ted Bundy, uno dei più famosi serial killer d’America.

Cosa ha spinto un giovane che avrebbe potuto avere successo a diventare uno dei più efferati assassini della storia americana? Dubito che lo sapremo mai davvero. Probabilmente è così e basta, ma forse, se durante la sua adolescenza non avesse scoperto che i propri genitori erano in realtà i nonni e la sorella, in realtà, sua madre, forse le cose sarebbero andate diversamente.

Ted Bundy è affascinante, affabulatore, camaleontico. La sua prima vittima nota, a cui ne seguono molte altre, alcune delle quali mai ritrovate, risale al 4 gennaio del 1974. Si chiama Joni Lentz, ha 19 anni, i capelli lunghi castani e la riga nel mezzo. Questo, probabilmente, è ciò che la fa scegliere da Bundy. Perché? Perché la sua ex, quella con cui è un po’ fissato, Stephany, ha i capelli castani lunghi e la riga nel mezzo.

Come molte altre vittime.

Come fa ad adescarle? Ted si mostra geniale e poliedrico: finge di essere in posizione di inferiorità. Si avvicina alle vittime prescelte con un finto gesso al braccio, grazie al quale non sembra minaccioso e chiede il loro aiuto per caricare qualcosa in macchina, finché non le fa salire sul proprio maggiolino modificato, privato della maniglia dell’apertura. In trappola.

Oppure finge di essere un poliziotto e di dovere controllare le macchine delle vittime.

Oppure, a volte, semplicemente entra dalla finestra e picchia selvaggiamente la vittima. A volte la lascia lì a morire, a volte violenta il cadavere, a volte lo decapita, seguendo solo i propri desideri e i propri impulsi.

Sin dai primi delitti, qualcuno sospetta che possa essere lui, il killer delle giovani donne, ma non ci sono prove e poi è un ragazzo troppo per bene, ormai approdato alla facoltà di legge, perché la polizia possa crederci davvero. Per fortuna le cose cambiano e Bundy viene indagato e arrestato più volte, riuscendo a scappare, e continuando a uccidere, finché il 24 gennaio del 1989, viene fermato per sempre, giustiziato sulla sedia elettrica.

 

Se volete approfondire, vi consiglio il libro “Un estraneo al mio fianco”,  di Ann Rule, una  giornalista di cronaca, che deve scrivere un articolo su alcuni efferati delitti di giovani donne. Ann scopre, con orrore, che l’indagato e, infine, il colpevole è proprio il suo amico Ted Bundy.

Non è l’unico libro, ma quello che a mio avviso lascia più il segno.

 

fonte immagine: web

 

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