di Ornella Mallo                                                                                                              14/08/2020

“Il mio amore di te non si ama.” André Gorz, nella sua “Lettera a D. Storia di un amore”, riporta questa nota tratta dal “Diario” di Kafka, per esprimere lo stato d’animo da cui era attraversato mentre scriveva “Il traditore”. “Non mi amavo di amarti”, aggiunge.
In queste due frasi è contenuta la motivazione che spinge Gorz a scrivere “Lettera a D.”: una lettera destinata alla moglie Doreen Keir, da tempo affetta da una malattia degenerativa, l’aracnoidite.
In essa ripercorre la loro storia d’amore, durata per tutto l’arco della vita di tutti e due. Un amore vissuto con eguale intensità e ricambiato in eguale misura, al punto da indurre il letterato a scrivere a conclusione: “La notte vedo talvolta la figura di un uomo che, su una strada vuota e in un paesaggio deserto, cammina dietro un carro funebre. Quest’uomo sono io. Sei tu che il carro funebre trasporta. Non voglio assistere alla tua cremazione, non voglio ricevere un vaso con le tue ceneri. […] Spio il tuo respiro, la mia mano ti sfiora. Ciascuno di noi non vorrebbe sopravvivere alla morte dell’altro. Ci siamo spesso detti che se, per assurdo, avessimo una seconda vita, vorremmo trascorrerla insieme.”
I due, coerentemente a quanto scritto, decidono di togliersi la vita insieme, il 6 giugno del 2006, somministrandosi un veleno con un’iniezione letale, in modo da escludere una possibilità di sopravvivenza alla morte dell’altro. Lasciano messaggi ad amici contenenti disposizioni ben precise su quanto deve succedere ai loro cadaveri, nel momento in cui vengono ritrovati: devono essere cremati, e le ceneri disperse nel giardino della loro casa.
Nulla deve restare di loro sulla terra dal momento della morte: i loro corpi devono essere ridotti in polvere che si volatilizza, dispersa dal vento.
E così, André Gorz e sua moglie Dorine Keir, sono stati ritrovati distesi, l’uno accanto all’altra, nella loro casa ottocentesca di Vosnon, vicino a Troyes, nell’Aube.
Solo del loro amore doveva restare una traccia immortale: ed è questa lettera a conferirla, a strappare al silenzio della morte il loro sentimento. Scrive Gorz, pseudonimo di Gerhard Hirsch, nato a Vienna da padre ebreo e da madre cattolica, giornalista coltissimo, vicino a Sartre e a Simone De Beauvoir: “Stai per compiere ottantadue anni. Sei rimpicciolita di sei centimetri, non pesi che quarantacinque chili e sei sempre bella, elegante e desiderabile. Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai. Porto di nuovo in fondo al petto un vuoto divorante che solo il tuo corpo contro il mio riempie.”
Questo è l’incipit della lettera, cui segue una domanda che si pone lo stesso autore: “Perché sei così poco presente in quello che ho scritto mentre la nostra unione è stata ciò che vi è di più importante nella mia vita? Perché ne “Il traditore” ho dato di te un’immagine falsa e che ti sfigura?”
E torniamo al punto di partenza, alla citazione iniziale: “Il mio amore di te non si ama”. C’è stato un periodo, nella vita di Gorz, in cui egli ha rinnegato l’amore che provava verso la moglie Dorine: ne ha sminuito l’importanza, descrivendola come “una creatura pietosa che non conosceva nessuno, non parlava una parola di francese, che si sarebbe distrutta” senza di lui. Ridicolizzava l’attaccamento di lei nei suoi confronti, definendola una dipendenza piccolo – borghese. Mentre lei, invece, lo aveva sempre sostenuto nell’attività di scrittore. “Amare uno scrittore, è amare che egli scriva, diceva. Allora scrivi!” “Come se la tua vocazione fosse di confortarmi nella mia”, scrive Gorz.
Si conferma dunque l’assunto per cui dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna. E che nessuno è un grande uomo per il proprio cameriere. Significa che, pur essendo consapevole della valentia della sua donna, grazie al cui sostegno si era affermato come intellettuale, non è stato in grado di riconoscerne pubblicamente i meriti nella sua opera letteraria. Anzi, l’ha misconosciuta, quasi sfigurata. E di questo, ora che tutti e due sono giunti alla fine della loro vita, si pente amaramente, e con questo libro, scritto in poco più di due mesi, le riconosce tutta la sua grandezza e importanza.
Rievoca, dunque, il momento in cui l’ha incontrata: “La nostra storia è iniziata meravigliosamente, quasi come un colpo di fulmine. Il giorno del nostro incontro, tu eri circondata da tre uomini che cercavano di farti giocare a poker. Avevi una folta capigliatura rosso bruna, la pelle madreperlacea e la voce acuta delle inglesi. […] Eri sovrana, intraducibilmente witty, bella come un sogno.” Ma non fu colpito solo dalla sua bellezza. Anche dal suo carattere deciso: “Di fronte a un problema complesso, la decisione da prendere ti sembrava sempre evidente. Avevi una fiducia incrollabile nella giustezza dei tuoi giudizi. Da dove prendevi la tua sicurezza? […] Non lo capivo. Non sapevo quali legami invisibili si tessevano tra noi.[…] Ho ammirato il tuo sangue freddo e la tua sfacciataggine. Mi sono detto: – Siamo fatti per intenderci -. Alla fine della nostra terza o quarta uscita, infine ti ho baciata”. Una forte passione, tra i due. Lui molto attratto dall’avvenenza di lei, che viene rimarcata continuamente nella lettera, in modo poetico: “La freschezza madreperlacea del tuo seno illuminava il tuo viso. Ho contemplato a lungo, muto, questo miracolo di vigore e di dolcezza. Con te ho capito che il piacere non è qualcosa che si prende o che si dà. C’è un modo di darsi e di invocare il donarsi dell’altro. Noi ci siamo interamente dati l’uno all’altra.” Scrive: “La precisione che ho conservato dei ricordi mi dice a che punto ti amassi, a che punto ci amassimo.”
Di lei descrive anche l’empatia, la capacità di immedesimarsi nei suoi bisogni, di capire cosa gli serviva, per adempiere al suo lavoro: “Ti eri unita, dicevi, con qualcuno che non poteva vivere senza scrivere e tu sapevi che colui che vuol essere scrittore ha bisogno di potersi isolare, di prendere appunti in ogni ora del giorno o della notte; che il suo lavoro sul linguaggio prosegue molto dopo aver posato la penna, e che può impossessarsi di lui all’improvviso, nel bel mezzo di un pasto o di una conversazione. […] Ma lo sapevi per esserci passata tu stessa: un flusso di parole che cercano il loro ordine più cristallino: dei pezzi di frasi continuamente rimaneggiati, delle aurore di idee che rischiano di svanire se una parola chiave o un simbolo non riesce a fissarle nella memoria. […] Tu stessa c’eri passata. Sapevi, fin dall’inizio, che avresti dovuto proteggere indefinitamente il mio progetto.”
Ma Eros si accompagna sempre a Thanatos: c’è sempre, nell’amore, una certa ambivalenza; e l’”Odi et Amo” di Catullo è comunque una realtà. Per cui, anche se lui l’amava come l’amava, ha delle reticenze prima di sposarla: ed è lei a metterlo alle strette, inducendolo al matrimonio, istituzione verso cui lui ha delle ritrosie, in quanto vista come piccolo- borghese. Ma non solo. Sostengono insieme i momenti difficili degli inizi, i problemi economici legati al non essersi ancora affermati nel mondo del lavoro. E’ lei, agli inizi, a guadagnare di più, grazie al suo lavoro di modella e di insegnante di inglese. Ma sempre lei non perde mai la fiducia in lui, e nelle sue qualità di scrittore e di intellettuale. E non si scolla dal suo fianco, nonostante i silenzi che intercorrono tra loro nei momenti difficili: “A pranzo, mi hai annunciato: -Sai che non mi hai detto una parola da tre giorni?”, scrive. E aggiunge: “Eri sempre la roccia sulla quale la nostra coppia poteva edificarsi.”
Fino al “mea culpa” che leva, parlando della scrittura de “Il traditore”, in cui si chiede come abbia potuto sminuire il valore della protagonista del romanzo, che simboleggiava sua moglie. Lucidamente dà una motivazione a questo suo comportamento: “Essere appassionatamente innamorati per la prima volta, essere ricambiati, era a quanto pare troppo banale, troppo privato, troppo comune: non era una materia adatta a farmi accedere all’universale. Un amore naufragato, impossibile, al contrario diventa nobile letteratura.” E qualifica le sue teorie di allora come “dissertazioni spocchiose sull’amore e il matrimonio”. Più probabilmente, per dirla con Adriano Sofri, la sicurezza, in amore, rende il rapporto “greve come una terraferma.”
Non specifica, Gorz, se sottostanti a tutto questo, ci siano stati tradimenti o una doppia vita. Solo dà voce al suo pentimento per avere fatto soffrire la sua Dorine, pur amandola tantissimo. Splendida la conclusione della lettera: “Sono attento alla tua presenza come al tempo dei nostri inizi e mi piacerebbe fartelo sentire. Tu mi hai dato tutta la tua vita e tutto di te: mi piacerebbe dare tutto di me per il tempo che ci resta.” E anche:” Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai. Recentemente mi sono innamorato di te un’altra volta.”
Da qui la decisione del dare fine alla loro vita insieme, come nel mito di Filemone e Bauci degli antichi greci. Ponendo fine insieme al loro cammino terreno, ne intraprendono un altro spirituale, incarnandosi rispettivamente in un tiglio e in una quercia dai tronchi intrecciati, come succede nel mito antico. Libro da leggere, per gli spunti di riflessione che dà sulla vita di coppia.
(fonte immagine: web)