di Ornella Mallo                                                                                                  18/03/2020
“Le nostre anime di notte” non è che un ‘dialogo’, ossia un ‘parlare attraverso’, per come suggerisce
l’etimologia stessa della parola.
Parlare attraverso i corpi, in un linguaggio animico: sono le essenze stesse di Addie e Louis a
comunicare tra loro, raccontandosi la vita passata, senza filtri che possano oscurarne l’autenticità;
vivendo senza maschere un presente precario, e progettando insieme quello che verrà.
Addie e Louise hanno settant’anni entrambi.
Non sono che una donna e un uomo, vedovi.
La loro è un’età in cui non si avrebbe più niente da perdere, e in cui si potrebbe essere se stessi,
finalmente liberi.
“Ho deciso di non badare a quello che pensa la gente. L’ho fatto per troppo tempo, per tutta la vita.
Non voglio più vivere così. Dà l’idea che stiamo facendo qualcosa di sbagliato o scandaloso,
qualcosa di cui vergognarci.” Dice così Addie a Louis, quando gli propone di passare le notti
insieme, coricati nello stesso letto, non a fare l’amore, ma a raccontarsi. A mettersi a nudo, in
un’intimità che travalica quella dei corpi. La vera intimità delle anime. Infischiandosene di quello
che potrebbe pensare la gente di Holt, il paesino del Colorado in cui vivono.
Creandosi una bolla in cui vivono quel che resta da vivere, solo loro due, insieme.
Così sarebbe, se non riuscisse comunque a esercitare un’azione di disturbo sui loro piani, non tanto
la società, di cui riescono a non tenere conto; quanto l’egoismo dei figli. Non quello della figlia di
Louis, Holly, che accetta la decisione del padre, e lo difende di fronte al chiacchiericcio meschino
della gente.
Ma quello di Gene, il figlio di Addie, che per un certo tempo, riuscirà ad allontanarla da Louis;
salvo poi tornare con lui, non riuscendo a sostenere la sofferenza della mancanza. “Mi sento troppo
sola. Mi manchi troppo. […] Siamo soltanto due vecchi che parlano al buio.”, dice Addie a Louis,
nella pagina conclusiva del libro.
Cosa possono raccontarsi, due vecchi, al buio? Non solo le loro origini, la loro infanzia.
Ma anche, e soprattutto, i loro matrimoni. Per poi scoprire, all’unisono, come, pur nella diversità
inevitabile dei dettagli del loro vissuto, i loro matrimoni, durati tutta la vita, si erano rivelati diversi
da come si aspettavano.
Addie, per un conto, infelice e segnata dalla perdita della figlia Connie, investita bruscamente da
una macchina. Insoddisfatta, a causa di un marito legato al figlio più che a lei, e poco disposto ad
ascoltarla. Un marito lontano, anche se vicino. Con cui mantiene un rapporto per niente intimo. E
non solo per il venire meno della sessualità. Soprattutto, per la perdita di interessi comuni e lo
spegnersi graduale, ma inesorabile, del dialogo. Resta la forma, del matrimonio. Non la sostanza.
Per cui, sebbene Carl, il marito, ci terrà a mantenere una facciata irreprensibile, davanti a tutti, non
facendole mai mancare fiori, ad ogni ricorrenza, nei fatti sarà sempre chiuso nella sua coltre
impenetrabile di silenzio, costringendo la moglie a vivere un’altra vita a Denver da sola.
A Denver, Addie tenta di essere se stessa, lontana dall’aria pesante e bigotta di Holt. Comprerà bei
vestiti, alloggerà in alberghi eleganti. In uno di questi porterà Louis, per condividere con lui tutto
quello che non aveva potuto condividere con il marito, incluso il teatro, che appunto a Denver
andava a vedere.
Louis, per altro conto, è anche lui infelice, accanto a Diane, la moglie, donna molto fragile
caratterialmente. Le rimprovera di non sapere andare a fondo nelle discussioni, di non dargli
ascolto. Tutte le volte che lui prova a farle affrontare una difficoltà, lei scoppia in pianto, e si chiude
​in altre stanze, peggiorando le cose.
Louis tenterà una fuga dal tetto coniugale, andando ad abitare da un’altra donna per un breve
periodo di tempo. Tornerà a casa, ricongiungendo la famiglia.
Ma sempre isolato nella sua bolla. Lì, si chiude a scrivere poesie, proposito che abbandona per
concentrarsi sull’insegnamento della letteratura alle superiori. Una bolla da cui la stessa moglie si
tira fuori, troppo concentrata nell’educazione della figlia.
Dolorosamente Louis ammette di non essere stato il marito che Diane avrebbe voluto. E si
rammarica del fatto che la moglie non riuscì mai a vivere una situazione appagante, simile a quella
che sta vivendo lui con Addie.
Cosa trovano, dunque, Addie e Louis, nel rapporto che riescono a instaurare tra loro?
Innanzitutto, una profonda amicizia. Un’amicizia che si radica nel profondo del loro essere,
spontanea, non imposta da obblighi, o doveri. Entrambi si ripetono continuamente che in qualsiasi
momento possono sciogliere il loro rapporto. Per poi scoprire, con gioia, che quel che è nato tra loro
è così importante da non poterne fare a meno.
Un’amicizia disinteressata, fondata su affinità di vedute, e sulla capacità di venirsi incontro, di
aiutarsi reciprocamente. Una capacità che hanno acquisito grazie all’insuccesso delle esperienze
pregresse.
Per cui, quando Gene, il figlio di Addie, si recherà dalla madre per affidarle il nipotino Jamie, lei
troverà in Louis il sostegno che occorre. Insieme, regaleranno un cane al bambino, e instaureranno
con lui un rapporto talmente intenso e pacifico, che il bambino lo rimpiangerà, quando sarà
costretto a tornare a casa. Nei genitori, sempre in conflitto tra loro, non riuscirà a trovare la stessa
pace e serenità.
Questa amicizia, così profonda, sfocerà in un’intimità di tipo sessuale, che ne sarà il completamento
inevitabile. Corpi che si uniscono, a complemento di due anime già salde tra loro.
Un’intimità delicatissima, in cui entrambi si troveranno belli, anche se non più giovani come un
tempo.
Il linguaggio di cui si serve Kent Haruf per raccontare questa splendida storia d’amore, è talmente
essenziale, da sembrare scabro. Ma, nel suo essere minimale, riesce a toccare il cuore del lettore,
rendendolo partecipe della storia fino alla commozione.
Libro bellissimo, da cui è stato tratto un film, interpretato da Robert Redford e Jane Fonda.
Da leggere.