A cura di Marina Caserta

Ballo da sola. Anche tu mi avevi promesso che, almeno stasera dopo tanti anni,  avresti danzato con me. Ma non lo fai, hai paura? Di me o di te? Di lasciarti andare? Di sciupare un sogno?

Posso cambiare ritmo, se vuoi. Provo ad andare più piano, a non scatenarmi più nelle mie danze folli, ma poi mi arrendo. Torno a sedermi, ma tu ti alzi, finalmente hai deciso di lasciarti un po’ andare,  accenni un piccolo passo di danza e ti fermi, ancora una volta.

Mi fai impazzire. Mi sento inadeguata. Ti propongo di uscire da qui, andiamo a fare due passi.

Il cielo è limpido, ma c’è troppa luce e non si vedono le stelle. Nel posto a cui appartengo, le stelle si vedono sempre e l’aria profuma di mare.

Qui mi sento perduta, per fortuna mi prendi sottobraccio e mi porti in giro per la tua vita. La città è bellissima. Con te al mio fianco, mi sento una regina. Mi fai vedere il mondo attraverso i tuoi occhi, e questo è senz’altro un atto d’amore. Un amore più calmo e tranquillo del mio amore scoppiettante, che corre e pretende, prima di sopirsi. Sono felice.

Mi proponi una birra, nel posto tuo preferito, nella tua tana. Verrei in capo al mondo se tu me lo chiedessi. E forse, finalmente, riuscirò a farti ballare. Lo vuoi anche tu, ma non lo sai ancora.

Camminiamo ancora un po’ e finalmente arriviamo al locale dove volevi prendere la birra. La birra non mi va molto, ma con te farei qualunque cosa. Ti alzi, sei sempre stato una persona gentile, e vai al banco a prenderne una anche per me. Qui non fanno servizio ai tavoli. Arrivi e mi porgi il bicchiere, fissi i tuoi occhi neri nei miei, hai lo sguardo vivo e io fremo. Quello sguardo mi ha inchiodato a te dieci anni fa. Non ho mai amato la birra, e questa è particolarmente amara, ma berrei fiele, se tu me lo chiedessi.

Mi guardo intorno. La luce soffusa rende il locale molto intimo, i tavoli sono separati da degli alti separè di legno. Siamo in pace, sono in pace, adesso. Mi prendi la mano, balleremo, lo so. Adesso mi gira un po’ la testa, devo avere bevuto troppo, lo capisci e mi sorridi…

 

Sono anni che mi aspetta. Dieci anni fa, quando mi ha conosciuto, non ero ancora pronto, adesso sì, Adesso sono pronto per lei, quando mi guarda capisco che mi ama, mi desidera. So che mi aspetterà sempre e questa certezza mi infiamma e mi spaventa allo stesso momento. E’ per questo che, quando l’ho vista la prima volta, non sono quasi riuscito a muovermi, l’emozione mi paralizzava e io quasi non riuscivo a respirare.

Adesso sono un uomo diverso, le mie esperienze mi hanno reso quello che sono. Mi sento più forte e più sicuro, ma questa ragazza ha qualcosa. Deve essere il fuoco che arde nei suoi occhi quando mi guarda, il suono spezzato che fa quando mi avvicino. Si dà completanmente a me e io ne sono estasiato.

Lo so che mi vuole e anche io la desidero, ma non qui, non ora. Sento il suo desiderio montare, ma la fermo. C’è un tempo per ogni cosa e la fretta rischia di rovinare tutto. Ho aspettato dieci anni, voglio che il nostro sia un momento magico.

Andiamo a fare due passi in città, c’è freddo, ma non lo sento, la luna è alta e il momento è perfetto. Mi sento pronto, vivo. Stanotte è la notte.

Andiamo a bere una birra, vedo che approva il locale scelto da me. E’ un localaccio, la vecchia tana di un lupo, ma vedo che le piace. Le piace perchè l’ho scelto io, la faccio accomodare al tavolo più in disparte, è il più intimo che c’è. Non voglio che nessuno ci disturbi, vado io a prendere la birra, torno e vedo che sorride, le porgo la birra ghiacciata. Beve, le prendo la mano e la fisso dritto negli occhi. Il suo sguardo si appanna lentamente. Il valium che ho versato sta iniziando a fare effetto.

Prima che non riesca a stare in piedi, la tiro su e la porto fuori, come se fosse la mia donna ubriaca. La carico in macchina e parto. Guido con la massima attenzione, non voglio che nessuno mi fermi.

 

 

 

Non ti guardo, non ti parlo. Tu non esisti. Non ti darò la gioia di vedermi parlare o piangere. Morirò in questo letto, se dovrò, ma non mi avrai mai davvero. Mi hai violentato innumerevoli volte, quando avresti potuto fare l’amore, ma tu vuoi vedere la sofferenza e il dolore. Niente sarà più doloroso di avere scoperto chi sei.

 

E’ più forte di quel che credessi. La prendo a schiaffi, la taglio, ma non urla. Mi piace il suo spirito, che non si fa mai piegare. Il mio spirito animale l’aveva riconosciuta subito, è una lottatrice, come me. Per questo ho aspettato di essere pronto.

Stasera ho una sorpresa per lei. Stasera si spezzerà.

 

Credi di farmi paura e hai ragione. Sto morendo dalla paura, ma non implorerò mai, non griderò, Arrivi col bastone arroventato e capisco subito che vuoi marchiarmi a fuoco, come se fossi un animale. Fai pure, so che ogni volta che io non urlo, alzo la posta in gioco e ti spingo a farmi sempre più male. E’ quello che voglio. Magari mi farai male fino ad uccidermi. Solo così so che smetterai. Attorno a me, nella stanza sottoterra in cui sono chiusa da giorni, o mesi, o anni, ci sono mucchietti di terra smossi. Sono tombe, lo so. Ne ho contate nove fino ad ora e in fondo c’è la vanga che usi per scavare. Sarò la decima. Ne hai uccise una all’anno, nel giorno del tuo compleanno. Quando ci siamo visti mancava una settimana al tuo compleanno. Ti prego, fa che sia oggi. Per il tuo compleanno, fammi questo regalo: uccidimi!

Ti avvicini, sembri felice. Mi vuoi baciare.

Io sono ormai l’ombra di un essere umano. La mia caviglia destra è rotta di sicuro, ieri, per cercare di strapparmi un suono, mi hai colpito con una mazza di ferro. Sono caduta in silenzio. In silenzio te  ne sei andato.

Oggi lo leggo nei tuoi occhi che non accetterai il silenzio, come risposta. Mi preparo a morire. Prego il Dio che ha permesso tutto questo, di darmi la forza di tacere ancora una volta.

In mano hai il ferro rovente, vuoi tatuarmi il tuo nome sul seno, mi spieghi, scrivendo una lettera al giorno. Cazzo, no, nove giorni. Non posso farcela, sta per uscirmi una lacrima, ma non lo permetterò.

Sono arrabbiata. All’improvviso mi investe una furia cieca, ma non te ne accorgi neanche. Ti avvicini per baciarmi. Come sempre ti lascio fare e oggi, stranamente, ti sorrido. Ti prendo alla sprovvista e tentenni. Questa è la tua fine, non ti sei accorto che lentamente, ti ho fatto muovere dentro il raggio d’azione della mia catena. Sono debole, ma la furia mi dà la forza e l’idea, afferro il catino che mi hai obbligato a usare come vaso da notte e te lo getto in faccia. Ti piace la pioggia dorata? Urli. Per così poco? Io non ho urlato mente mi tagliuzzavi il seno! Chiudi gli occhi e fai per scappare, non te la caverai così facilmente, amore.

Ti strappo il ferro afferrandolo dall’estremità rovente. Mi ustiono, ma quasi non me ne accorgo. Te lo do sulla testa con forza, perdi i sensi. Prendo, con le mani straziate dal dolore, le chiavi della mia catena dalla tua tasca, mi libero del collare e incateno te, come una bestia.

Un pensiero mi coglie mentre sto per uscire dalla porta per chiamare la polizia. Mi fermo, torno indietro e mi seggo, nuda come sono da giorni, a gambe incrociate, davanti a te, aspettando il tuo risveglio.

Finalmente apri gli occhi

 

“Buongiorno amore” ti sorrido brandendo il ferro, che adesso è solo tiepido, ma fa ugualmente paura. “Finalmente sei sveglio. Giochiamo?”

 

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