Non so cosa mi succeda: da circa un mese mi sento estraneo nella mia pelle. Mi sembra che la mia mente si rivolti contro di me. Ho paura. Ho paura di quello che potrei fare, è come se il mio cervello volesse farmi del male.  L’altro giorno, mentre tagliavo il pane, la mia mano ha iniziato a tagliare il polso sinistro. Io guardavo il coltello, non capivo neanche cosa stesse succedendo, poi ho visto tutto quel sangue. Dovrei andare da un dottore, ma ho paura di cosa potrebbe dirmi. Sono sicuro di avere una brutta malattia, un tumore. Il mio amico Gianni, psicologo da strapazzo, come tutti gli psicologi, dice che dovrei andare da uno psichiatra, secondo lui è un senso di colpa che riaffiora per qualcosa che ho fatto. Io lo so di avere fatto tante brutte cose, ma non sono cattivo. Sono solo impulsivo, poi mi pento sempre.

 

Ho scelto di resistere alle tue provocazioni. Ho scelto di non rispondere ai tuoi schiaffi, ai tuoi pugni e ai tuoi calci. Ho scelto di rialzarmi, quando mi spingi via dalla macchina in corsa. Ho scelto di resistere passivamente, di essere migliore di te. L’unica cosa che non ho scelto in tempo è stata quella di andarmene via. Quando ho capito che non c’erano altre strade, era troppo tardi, credevi di essere il mio padrone.

Nessuno saprà mai quello che mi hai fatto, lo so. In questa condizione, in cui sono relegata da tre mesi, a cui tu mi hai condannata tre mesi fa, non posso muovermi, nè parlare, ma sento tutto. Ti ho sentito stringermi la mano e piangere e inveire. Nessuno sa che se sono in questo letto, con questi tubi che entrano ed escono dal mio corpo, è perchè tu, una notte, hai deciso che non potevo lasciarti. Hai deciso che non meritavo di vivere e mi hai lapidato brutalmente, all’uscita dal lavoro. Nessuno ti ha visto, era notte, ma mi hai guardato negli occhi e mi hai sibilato che ero una brutta puttana. Non lo sapeva nessuno, che ti avevo lasciato, non ero pronta a rispondere alle domande di amici e parenti. Quindi, tutti credono che sia stato un aggressione casuale. Certo, ti hanno interrogato, ma niente.

A nessuno è venuto in mente di chiedersi come mai, in questi anni, indossavo maglie a maniche lunghe, a volte, in agosto. O come mai urtassi così spesso in spigoli acuminati.

Mi rimprovero, perfino adesso: non mi sono amata abbastanza. A te, ho dato sempre ogni giustificazione.

Adesso basta.

In questo limbo in cui sono da tre mesi, però, ho scoperto il potere enorme della mia mente. Il mio corpo è come una bambola inerte, ma la mia mente è fortissima e riesce a piegare la tua come mai avrei immaginato.

Ti posseggo come mai tu mi hai posseduto.

All’inizio pensavo che non fosse giusto, e ho cominciato con qualche scherzo stupido: farti gettare il cellulare a terra, farti rispondere al tuo capo che pensavi che fosse un somaro.

Divertimenti, piccole gioie, ma il male è affascinante, basta giocare! Adesso mi piace fare un giro nella tua testa e incasinartela. Mi piace spingerti a tagliarti, a procurarti dolore, sento la tua paura, sento che non ti fidi più di te stesso e ne traggo il massimo piacere.

 

Oggi è un giorno importante. Vado dal dottore, adesso basta, affronterò tutto quello che devo. Non so neanche come fare a dirgli quello che mi sta succedendo, ma sta diventando impossibile vivere così. Senza che ne avessi nessuna consapevolezza fino a un attimo prima, all’improvviso mi viene il desiderio di gettarmi sotto una macchina, o di bere la candeggina. Potrei uccidermi ogni giorno, ma non ho pensieri di morte. Arrivano così, all’improvviso, mentre rido con un amico, mentre guardo un film.

Persino adesso, che sono in macchina potrebbe prendermi all’improvviso la voglia di farmi del male.

 

La tua paura mi esalta, è questo che cercavi mentre mi prendevi a pugni? Ti infuriavi perchè non trovavi paura nei miei occhi?

Adesso tremi come un coniglio, appena ti rendi conto che stavi per schiantarti contro il muro a tutta velocità, perchè ti facevo spingere sull’acceleratore come un dannato. Finchè ci sono io al controllo, c’è l’estasi, appena ti lascio, sperimenti l’orrore.

Non so se ti ucciderò, mi diverto troppo.

 

Mia madre ha pianto, lo vedo dai suoi occhi gonfi. Mio padre è scuro in volto, le tiene la mano sulla spalla.

Entra Anna, la madre di Pietro, in lacrime, mia madre si alza, come per spingerla via, ma lei resiste. Dice che suo figlio mi amava troppo ed evidentemente non poteva vivere senza di me. Poi e scoppia a piangere, mia madre vorrebbe farla uscire, ma capisco che non ce la fa e la abbraccia. Io lo so cosa hanno visto gli occhi di Anna: la macchina accartocciata contro il muro, quello che rimaneva del figlio, in un letto d’ospedale. Sarebbe bastata una culla a contenerlo, senza braccia nè gambe.

Mi sento bene, come non mai.

Mio padre mi guarda e sgrana gli occhi, non so se sorpreso o inorridito, abbraccia mia madre e sussurra ” Amore, credo che stia sorridendo.”

 

Marina Caserta

 

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