S’intitola «Ciò di cui ha più bisogno il mondo arabo è la libera espressione». 

 

È stato letto da giornalisti di tutto il mondo l’editoriale dal titolo “Ciò di cui ha più bisogno il mondo arabo è la libera espressione”, di Jamal Khashoggi pubblicato postumo sul Washington Post perché il giornalista dell’Arabia Saudita, diventato scomodo per il governo di Riad, è stato assassinato da funzionari sauditi dentro il consolato del paese a Istanbul.

L’invito a leggere l’articolo del giornalista arriva da Amnesty International ed è stato accolto da Jake Tapper della CNN, Nick Kristof del New York Times,  Mehdi Hasan di Al-Jazeera English, Naomi Klein dell’Intercept, Jason Rezaian del Washington Post, Hamid Mir di Geo News, Kareem Shaheen dall’Egitto, Rania Abouzeid dall’Australia, Rami Khouri dal Libano e Barkha Dutt dall’India.

 

Martedì 2 ottobre 2018

Il giornalista era stato visto entrare per l’ultima volta nel consolato saudita a Istanbul. Qui c’era entrato per una pratica di divorzio. Qui è stato rapito e ucciso dal regime saudita.

Per settimane tutto è stato negato, l’Arabia ha tentato invano di dare spiegazioni, ma le autorità turche adesso stanno indagando. I sospetti sul mandante ricadono sul principe ereditario Mohammed bin Salman.

Le indagini portano a supporre che Khashoggi al consolato avesse ricevuto una telefonata da Mohammed in persona, ma che si sia rifiutato a rientrare in patria. Da qui, dopo il rifiuto, tutto sarebbe precipitato e dal rapimento si sarebbe passati “all’interrogatorio finito male”. In merito, c’è anche un’altra ipotesi: secondo fonti saudite citate dalla Reuters, la telefonata l’avrebbe fatta il collaboratore del principe, Saud al Qahtani, che preso dalla rabbia per il rifiuto del giornalista avrebbe ordinato: “Portatemi la testa di quel cane”.

Così l’uomo è scomparso nel nulla. Anche sulla fine del suo corpo ci sono varie ipotesi: secondo gli investigatori turchi, il giornalista sarebbe stato fatto uscire dal consolato dentro un tappeto e poi sepolto a pezzi. Non è da escludere anche che il suo cadavere sia stato portato via su uno dei jet privati di proprietà di Riad, nella notte, senza sottoporre il carico ai controlli. E ancora: per gli investigatori di Erdogan una Mercedes con targa diplomatica, di proprietà del consolato saudita, sarebbe rimasta parcheggiata qualche giorno in un parcheggio di Istanbul, nel quartiere di Sultangazi, per poi essere stata ripulita da una persona. Questa avrebbe trasferito oggetti e forse anche il corpo del giornalista dall’auto appartenente al consolato ad una BMW che poi avrebbe fatto perdere le tracce, allontanandosi.

Serena Marotta

 

fonte immagine: web