Di Clotilde Alizi

Stranamente si vestiva con tagli anni ’30 e acconciature ai capelli stessa epoca.
Non era arrivata la gonna a ruota. Si viveva in case con il giardino, e anche con gallinelle che facevano le uova.
Questo film arriva fino al midollo. Buca lo schermo per le sottane, i sogni delle donne così sensuali e piene di vita, ma inesorabilmente infranti.
Antiche proprietà che gli uomini non mollano. Le donne.
E le donne sognano, si perdono, per la gravità che mettono gli uomini nel possederle. Possedere i loro corpi e i loro sogni che vengono schiacciati da mani crudeli.
E loro, le sorelle, separate da convenzioni nutrite di vergogna, si cercheranno per tutta la vita, congiunte da un antico orecchino della nonna. Non si troveranno. Faranno i figli, li alleveranno, l’una nella sicurezza di un matrimonio deciso da altri, l’altra nella favelas cui è destinata. Tenebrosa l’una, le mani da pianista sulle stoviglie domestiche, solare l’altra nelle spire della povertà più nera, spezzandosi le unghia su un lavoro infimo. E nelle infinite lettere scritte alla sorella, non disperando mai di ritrovarsi.
Commuove fino al midollo. Buca l’anima. Un linguaggio universale, quello della sorellanza.
(fonte immagine:Web)