Giunge da pochi giorni e inaspettata la clamorosa decisione del presidente USA Donald Trump di spostare la propria ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme elevando la città contesa per antonomasia  al ruolo di capitale (riconosciuta dagli USA) dello stato di Israele. Nel clamore generale Trump ha concretizzato le volontà espresse a più riprese dagli ultimi inquilini della Casa Bianca: Clinton, G.W. Bush e più volte Obama si erano espressi a favore, durante le rispettive campagne elettorali, di un formale riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello stato ebraico. Proclami rimasti sempre invariati prima della presidenza del milionario new yorkese dal momento che la città di Gerusalemme è storicamente un luogo di incontro-scontro fra Ebraismo, Cristianesimo ed Islam, religioni universali che da sempre rivendicano il controllo della loro città santa.

Questa scellerata decisione sposta gli equilibri di potere decisamente in favore dello stato ebraico in una regione da sempre considerata una polveriera. Incassare il formale riconoscimento degli Stati Uniti significa certamente godere di una posizione dominante nel controllo della città santa ma significa anche far scoppiare e dover gestire ataviche tensioni etnico religiose dagli esiti imprevisti. La condanna delle Nazioni Unite non si è fatta attendere e cinque paesi dell’Unione Europea, fra cui l’Italia, hanno già dichiarato di non voler riconoscere Gerusalemme capitale e che pertanto manterranno le loro rispettive ambasciate a Tel Aviv. L’inviato speciale per le Nazioni Unite Nickolai Madlenov ha ribadito la necessità di rendere la città la capitale di due stati, Israele e Palestina, e che  “L’Onu ha ripetutamente dichiarato che qualsiasi decisione unilaterale che cerchi di modificare lo status di Gerusalemme potrebbe seriamente minare gli attuali sforzi di pace e potrebbe avere ripercussioni in tutta la regione”

Unanime condanna arriva anche dal mondo arabo con manifestazioni di protesta verso vari insediamenti israeliani dove si sono registrati scontri fra manifestanti e soldati, l’ultimo dei quali ha visto i soldati di Israele sparare sulla folla, facendo registrare il bilancio di un morto e 750 feriti. Non si è fatta nemmeno attendere la reazione di Hamas che attraverso le parole del suo portavoce Ismail Haniyeh ha dichiarato: “né Trump né alcun altro potrà cambiare la verità storica e geografica e l’identità della Città Santa” e “Chi pensa che “tutto si esaurirà con le manifestazioni, sogna. […] La santa intifada di oggi ha inoltrato due messaggi: il primo, che respingiamo la decisione di Trump e il secondo che siamo pronti a immolarci per difendere Gerusalemme”.

La decisione della presidenza USA, alla luce delle tensioni provocate e che probabilmente daranno il via ad un’escalation, sembra una mossa priva di acume politico e senso strategico eppure potrebbe essere che Trump non mirasse ad alcun traguardo in politica internazionale, bensì mirasse a mantenere saldo il suo ruolo alla Casa Bianca in relazione al Russiagate: l’ombra dell’impeachment si fa sempre più pressante e in questo momento è sotto esame la sua intera campagna elettorale, quella che gli ha permesso di gareggiare e vincere contro il suo stesso partito ed ottenere la presidenza. Trump vuole dimostrare che, nonostante la quasi unanime condanna internazionale, lui sia l’ uomo che mantiene le promesse elettorali, compresa quella di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Mossa ideata col preciso intento di strizzare l’occhio ad un mirato bacino elettorale di grande influenza all’interno degli Stati Uniti, quello dei “Sionisti Cristiani”, una branca di fanatici dal grande peso elettorale, convinti che la creazione di Israele altro non sia che l’espressione della volontà biblica e che Cristo potrà tornare sulla terra soltanto quando lo stato ebraico avrà recuperato i suoi confini divini con Gerusalemme come capitale.

Il vero dramma è che la scelta di Donald Trump priverà gli Stati Uniti del ruolo di mediatori nella questione Israelo-Palestinese, quando  soltanto loro potrebbero trovare una soluzione.

Fabrizio Tralongo

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