Oggi per la rubrica “In chiave di Sol” Radio Off intervista Davide Damiani, baritono e direttore d’orchestra, nato a Tavullia, in provincia di Pesaro, nel 1965. Un’intervista per introdurre un uomo di fama internazionale che curerà per il giornale questa rubrica dedicata alla musica. Un modo per condurre il lettore in un mondo straordinario fatto di note, voce ed emozioni…

 

D: Quando è nata in lei la voglia e la passione per la musica? Per il canto?

R: La passione per la musica è iniziata nel modo più spontaneo possibile ma anche in una maniera al quanto originale. Avevo circa 7 anni quando furono organizzati dei corsi di musica nella parrocchia del mio paese, a Tavullia. Tutti i bambini del paese con un’età compresa tra i 6 e 10 anni circa erano invitati e ad ognuno di noi fu dato uno strumento musicale di plastica, che dello strumento originale aveva solo la forma. A me fu dato il sassofono. Il suono di ogni strumento era più o meno lo stesso, ma la cosa importante di quell’iniziativa che durò non più di un’anno non era tanto imparare uno strumento ma insegnarci le prime nozioni musicali, le note, il ritmo e anche a suonare in pubblico, accrescendo così l’interesse per la musica in tutti noi e i nostri familiari. Mio zio Gianni sapendo di questa iniziativa con strumenti di plastica, decise di regalarmi la sua fisarmonica “vera”, in quanto da diverso tempo non la utilizzava. Da quel giorno per me esisteva solo quello strumento. Improvvisavo quotidianamente ascoltando alla radio i brani che più mi piacevano e cercavo di imitarli con la fisarmonica. Oppure sentivo un motivo in televisione ed andavo immediatamente a riprodurlo. I miei genitori seguendo questo mio entusiasmo, decisero all’età di 11 anni di iscrivermi al Conservatorio di musica “Gioachino Rossini” di Pesaro, prima nella classe di sassofono, poi in quella di contrabbasso.

Il canto arriva una decina di anni dopo. Avevo da poco preso il diploma di contrabbasso (1986) e studiavo ancora composizione in quanto, qualche anno prima, durante il triennio dello studio del solfeggio, decisi di diventare direttore d’orchestra. Quindi ad un certo punto mi resi conto che un buon direttore d’orchestra doveva pur conoscere sia le caratteristiche di tutti gli strumenti musicali presenti in orchestra, ma anche la tecnica del canto lirico. In quel tempo c’era chi in Conservatorio sentendomi parlare mi consigliava di studiare seriamente il canto, perché notavano una impostazione naturale della voce. Dopo alcuni tentativi con dei maestri di canto in conservatorio, decisi di contattare qualcuno che ne sapesse molto di più. Nell’estate 1987, Luciano Pavarotti era a Pesaro, nella sua villa al mare per qualche giorno di riposo e quindi mi venne la follia di chiamarlo, chiedendogli di ascoltarmi e ricevere un giudizio sulla mia voce. Lui mi disse di raggiungerlo nella villa da lì a due ore. Arrivato nella villa, dopo pochi minuti d’attesa, mi accolse molto cordialmente e mi chiese quale aria volessi cantare. In realtà non conoscevo nessuna aria e quindi, mi fece fare dei vocalizzi, per verificare l’estensione e la qualità della voce. Dopo 5 minuti di vocalizzi arrivò la sentenza: “Se non studi canto, sei un matto!”.  Più che felice ero confuso. Al mio sogno di diventare direttore d’orchestra, ma anche suonare il contrabbasso, la fisarmonica, il bandoneon, il pianoforte, l’organo, si aggiunse all’improvviso e completamente a ciel sereno, la predisposizione al canto lirico e per di più su consiglio di Luciano Pavarotti. Decisi di mettere lo studio del canto in stand by e concludere così gli studi di composizione e direzione d’orchestra, prima d’iniziare a prendere delle lezioni serie di canto. Nel 1990 lasciai Pesaro e mi trasferii a Vienna.

Lì, nonostante perfezionassi gli studi di direzione d’orchestra nella previsione di iniziare presto un’attività come direttore, decisi di prendere lezioni di canto con la Kammersänger Hilde Zadek. Tutte le mattine, dal lunedì al venerdì, studiavo la lingua tedesca al Goethe Institut e tutti i pomeriggi avevo 30 minuti di lezione di canto con la Zadek.  Andai avanti così per 2 anni. Poi giunse a Vienna, ospite della Zadek, Tamar Rachum, direttore del reparto vocale dell’Accademia di musica Mehta-Buchmann di Tel Aviv, la quale mi ascoltò durante una lezione e mi chiese se volessi andare a Tel Aviv a debuttare il ruolo di Don Giovanni. Io volevo essere direttore d’orchestra, non cantante, ma questa opportunità mi stimolò la curiosità di provare almeno una produzione sul palcoscenico dopo della quale sarei tornato a Vienna a proseguire il mio sogno della direzione d’orchestra. Quindi andai a Tel Aviv nel gennaio 1993 e nell’aprile debuttai Don Giovanni. Andò benissimo, a tal punto che mi fu offerto dall’Accademia di Musica di restare come studente ospite e quindi prendere parte ad altre produzioni, concerti e studiare giornalmente diversi nuovi ruoli. Trascorsi un’anno a Tel Aviv e mi venne chiesto di fare un’audizione al Teatro di St. Gallen, in Svizzera. Ci andai e mi offrirono immediatamente un posto nell’ensemble per ruoli come Don Giovanni, Belcore (Elisir d’amore), Harlekin (Ariadne auf Naxos) e tanti altri. Trascorso qualche mese a St. Gallen feci l’audizione alla Staatsoper di Vienna dove l’allora direttore del teatro, Ioan Holender, mi offrì un posto nell’ensemble. Il mio debutto nel prestigioso teatro viennese avvenne il 27 settembre 1995 con il ruolo di Sharpless (Madama Butterfly) e questa data coincise anche con l’avvio della mia carriera internazionale come baritono.

D: lei è stato determinato. Ha portato con sé un sogno e lo ha trasformato in realtà… cosa ci si può aspettare oggi ad affrontare un percorso nel mondo del teatro?

R: Iniziare oggi una carriera a me pare che sia più difficile di come lo fosse 30 anni fa. Avere un sogno nel cassetto, vuol dire tirarlo fuori e realizzarlo a qualsiasi costo. Ciò significa avere molta determinazione, guardare avanti senza girarsi indietro e studiare, studiare, studiare. Io penso che il fatto di trovarci immersi in un mondo costantemente online, non abbia cambiato i presupposti fondamentali per l’inserimento dei giovani nel mondo del teatro lirico. Il talento da solo non bastava allora, come non basta oggi. Essere predisposti allo studio minuzioso dello spartito, avere una solida base musicale, conoscere più lingue straniere possibili, avere una cultura generale sono fondamentali ancor prima di desiderare l’inizio di una carriera nel mondo dei teatri lirici.

D: Vive da 30 anni a Vienna. Una cultura diversa dalla nostra. Il suo modo di vedere la musica è cambiato?  Qual è il suo modo di vivere la musica, la sua prospettiva, rispetto ai suoi colleghi e musicisti italiani? C’è una differenza?

R: Sinceramente il sogno che mi ha portato a Vienna era quello di vivere in una città dove quasi tutti i più grandi artisti avevano vissuto. Passeggiando per Vienna non c’è via, parco, quartiere che con una targa commemorativa non ricordi dei compositori, cantanti lirici, direttori d’orchestra oltre che a tanti attori e registi. Non posso dire ora se il mio modo di vedere la musica sia cambiato a seguito della mio trasloco nel 1990 a Vienna, ma di certo sono cambiato io, nella mia integrità. Ho aperto i miei orizzonti, vivevo in quegli anni a contatto quotidiano con i più grandi direttori d’orchestra e cantanti e così i miei obiettivi in breve tempo erano diventati il palcoscenico dell’Opera di Vienna e quello della sala da concerto della Musikverein. A distanza di 3-5 anni raggiunsi quegli obiettivi. Già nel 1993 cantai nella grande sala della Musikverein sotto la direzione di Nikolaus Harnoncourt e un paio di anni dopo debuttavo alla Wiener Staatsoper nella Madama Butterfly. Per me vivere la musica a Vienna è esistenziale. Ancora oggi, pur non essendoci più direttori d’orchestra quali H. von Karajan, L. Bernstein, C. Kleiber, C. M. Giulini, C. Abbado, L. Maazel, nel periodo che va da settembre a giugno ho sempre la scelta di ascoltare le migliori orchestre al mondo (la Filarmonica di Vienna in primis) con i più grandi artisti. Questo lo sento come una mia necessità che nel corso degli anni non solo non è diminuita, ma addirittura aumentata.

D: Si è esibito nei teatri di Napoli, Palermo, Genova, Torino, Bologna, Firenze, Venezia, Cagliari, Trieste, Verona, Parma, Reggio Emilia, Catania, Ancona, Bergamo. E ancora: Amburgo, Bruxelles, Amsterdam, Berlino, Basilea, Berna, Wexford, Palm Beach, Tel Aviv, Tokyo, Zurigo, Festival di Aix-en-Provence, Festival di Salisburgo, Wiener Festwochen. Diverse le opere e i personaggi interpretati. Qual è l’opera e il personaggio che più le sta a cuore e perché?

R: Guillaume Tell di Gioachino Rossini nel ruolo del titolo. Talvolta mi sono chiesto scherzosamente se Gioachino Rossini, mi avesse visto da lassù, nel momento in cui varcavo la soglia del Conservatorio di musica di Pesaro (da lui peraltro lasciato in eredità) per iniziare i miei studi musicali nel 1976, sapeva già che un giorno avrei cantato il ruolo del suo Guillaume Tell. La mia connessione con l’opera lirica è avvenuta proprio grazie alle opere rossiniane. La prima opera alla quale assistetti fu La Gazza ladra nel 1981, al Teatro Rossini, durante la prima edizione del Rossini Opera Festival. Le mie estati dal 1981 al 1990 le passavo tutte al R.O.F., nella veste di giovane e promettente direttore d’orchestra, seguendo prove e recite delle opere di Rossini per lo più mai sentite prima, eseguite in forma integrale, con una prassi esecutiva curata nei minimi dettagli. Poi passano circa 30 anni, nel frattempo divento baritono e mi giunge nell’autunno 2015 l’offerta di preparare il ruolo di Guillaume Tell per la stagione successiva al Metropolitan Opera di New York. Guillaume Tell è un’opera nella quale mi ci sono ritrovato sia come cantante che come direttore d’orchestra per la sua completezza, grandiosità e perfezione compositiva. Il ruolo di Guillaume Tell è un ruolo per la vita ed ogni volta che lo canto devo pensare al preciso istante in cui varcai per la prima volta il portone del Conservatorio Rossini, tanti anni fa e da dove tutto ebbe inizio. Grazie Maestro G. Rossini!

 

a cura di Serena Marotta