A cura di Fabrizio Tralongo

 

Dopo le inconcludenti elezioni del 4 Marzo, il battagliero Di Maio ha impresso una nuova svolta europeista  al M5s del tutto incompatibile con il sovranismo e la difesa dei confini su cui tanto ha puntato invece la Lega di Salvini.  Ad aver fatto esplodere tali contraddizioni non sono state le inconciliabili posizioni in materia di fisco o il tanto blasonato reddito di cittadinanza, bensì le rinnovate tensioni nel teatro di guerra siriano che potrebbero, paradossalmente, avvicinare M5s e Pd, almeno sul piano della politica estera.

Nell’assoluta impossibilità di consegnare un governo al paese, centro destra e M5s vincenti alle elezioni, hanno cercato di trovare più volte il compromesso, tentando però di non tradire le rispettive basi elettorali più intransigenti e di concretizzare le trattative finalizzandole alla nomina di un presidente del consiglio espressione diretta di uno dei due poli. Malgrado gli accordi presi da Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che hanno prodotto l’ individuazione dei presidenti di Camera e Senato, il primo punto di rottura di questa pacifica sintonia arriva dal complesso mosaico siriano. Salvini si è posto in netta antitesi con la linea tracciata dal precedente governo che ha visto l’Italia schierata a fianco degli alleati del Patto Atlantico in opposizione alla Siria di Assad e, quindi, contro la Russia. La crisi siriana è diventata ormai la più pericolosa escalation militare degli ultimi anni e la Lega, in questo caso a fianco di Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni, si pone contro il coinvolgimento italiano rimarcando così una certa indipendenza (ad oggi soltanto nelle parole) da Bruxelles e dalle politiche dell’UE.

Di contro i penta stellati non possono certo vantare  grande coerenza in materia di politica estera e di rapporti con l’Unione Europea: dalle crociate contro la moneta unica tipiche degli albori del movimento, all’aperta critica della politica estera targata Pd dei periodi più recenti, il movimento col passare del tempo ha dovuto sempre più fare i conti coi compromessi al fine di trasformare in governabilità il proprio sorprendente risultato elettorale. All’indomani della rappresaglia missilistica occidentale verso le piazzeforti di Assad, accusato di aver utilizzato armi chimiche nella città di Douma, la risposta di Di Maio alle dichiarazioni critiche della Lega è stata:  “Le dichiarazioni di Salvini sulla Siria sono irresponsabili, non si affronta così una questione internazionale così delicata. Bisogna continuare con la diplomazia. Sarò sempre contrario a chi vuole approfittare della Siria per sganciarci dagli alleati storici. Non devono essere casus belli per riposizionare Italia”. Parole di un esponente di spicco del partito che un tempo puntava al referendum per l’uscita dall’euro, salvo poi riposizionarsi lentamente su una linea di attendismo e vaghezza “Non è questo il momento di uscire dall’euro, voterei no a un referendum”, diceva in campagna elettorale e infine, oggi, pronto a sposare una strategia pienamente europeista e atlantista agli antipodi di quella di Salvini.

Al contempo però il leader della Lega, ultimamente, sembra più che mai solo nel suo appoggio alla Russia di Putin. Persino Berlusconi, che col presidente russo sbandierava amicizia e affinità, ha consigliato a Salvini un passo indietro sulla Siria, richiamandolo ad un registro moderato ed europeista. Secondo Maurizio Martina, segretario del Partito Democratico, il Pd ad oggi è la forza politica più accreditata sulla scena internazionale per garantire la continuità della posizione italiana all’interno dell’asse atlantico che vede una parte dei membri della Nato contrapporsi all’alleanza russa in Medio Oriente. L’allusione delle parti spinge adesso il M5s  ad accelerare nel definire una proposta di Governo attuabile, ad oggi non accolta dalla Lega che non molla Berlusconi e neanche dal PD che non ha intenzione di discutere un contratto di Governo “alla tedesca”. Accelerazione pretesa anche dalla presidenza della Repubblica che in questo momento chiede stabilità di Governo per le relazioni internazionali, in piena crisi mondiale esacerbata da Stati Uniti e Regno Unito e con la Francia che spinge per ritagliarsi, come accaduto con la Libia, un ruolo mondiale sul terzo gradino del podio insieme ai due paesi anglosassoni.

La proverbiale quadratura del cerchio sembra, ad oggi, quanto mai irrealizzabile, almeno non nelle tematiche di politica estera, e fra non molto la parola passerà , giocoforza, al presidente della Repubblica  che dovrà decidere sulla base della condivisa necessità di avere un Governo che rappresenti l’Italia tra escalation di tensione in Medio Oriente e crisi diplomatiche internazionali. La posizione del Movimento Cinque Stelle circa la crisi siriana, per quanto vaga e contraddittoria, lascia intendere la riconferma degli impegni presi con i membri del Patto Atlantico sembrando però tendere verso una scelta diplomatica per risolvere una questione, quella del presunto attacco chimico di Douma, definita unilateralmente, senza precisi contorni e senza attribuzioni comprovate di responsabilità.