Fabio Gagliano
Gli anni settanta del XX secolo sono stati un decennio assolutamente unico, ricco di novità e contraddizioni.
Chi ha vissuto da giovane in quegli anni si è formato in maniera tale da portare dentro di se una stimmate indelebile.
In estate si andava nelle isole del Mediterraneo in gruppi numerosi e assortiti all’ultimo momento, si parlava di amore libero e di rivoluzione.
Questo diario è stato scritto nell’estate del 1979, quando, In bilico tra collettivo e personale, si cercava di godersi la vita con un po’ di confusione.
Quindi…
…su un’isola del Mediterraneo nell’estate del 1979…
Gli inquilini di Villa Trasparenza
Gli inquilini di Villa Trasparenza sono questi elencati qui sotto. Di essi in pochissime parole si da una descrizione.
Io (detto anche Iò) il pittore, la voce narrante
Rachele la radical scic, fidanzata di Io
Artura la domatrice proletaria
Elpidio il commerciante di caviale
Eufrasia la misteriosa sciattona
Callisto quello che gioca a pulce
Crispino il fisico deluso che gioca a pulce con Callisto
I granciporto (i granchi della spiaggia)
Di tutti questi, il più strano, improbabile, impopolare e antipatico, ma forse per questo, il più interessante, era Elpidio.
Di lui è scritto nelle prossime pagine quello che lui stesso raccontò in una calda notte di agosto. Ma prima del suo racconto credo che alcune righe sul personaggio siano indispensabili. Righe tratte dal mio diario, riportate così come le scrissi di getto durante quella estate.
ELPIDIO E IL CAVIALE
Oggi Elpidio mi ha di nuovo invitato a mangiare caviale. Dice che è di una qualità nuova che viene dalla Nuova Zelanda e che lui la vorrebbe commercializzare in occidente. Come al solito si presenta con i crostini imburrati ed una ciotolina con quattro chicchi di caviale. Mi porge un crostino su cui ne ha messo uno con una pinzetta.
Lo ringrazio e gli dico che non vorrei abboffarmi. Mi
risponde che il caviale è molto nutriente e ne basta
poco. Lo ringrazio di nuovo, ma gli faccio presente che
mi vizia troppo.
Quando mi chiede se mi sembra adatto per essere
Venduto in Europa gli rispondo che quello è un tipo di
caviale con cui si ci può strozzare, meglio evitare.
Mi allontano rapidamente da lui come hanno già fatto
tutti gli altri. Nessuno ha contro Elpidio dei
pregiudizi, ma è lui stesso che si rende insopportabile.
Dopo la mania per il caviale viene di seguito quella di
sparlare del prossimo: si avvicina a me e con fare
intrigante mi confida che Crispino ha detto che io sono
proprio un miserabile e un pessimo imbrattatele, gli
dispiace proprio, ma per amicizia non può fare a meno di
dirmelo. Io non commento nemmeno con una virgola e
lui si prende la briga di informare Crispino che io ho
appena detto che lo considero un pazzo pericoloso, e
glielo dice per l’amicizia che lo lega a lui, ovviamente!
E così via dicendo, anzi maldicendo, con
tutti quelli con cui viene in contatto. Siccome a Villa
Trasparenza, tranne lui, nessuno è fesso, in pochi
giorni si è guadagnato la disistima di tutti. Ma non
basta: ha chiesto soldi a chiunque senza mai restituire
un centesimo, mangia a sbafo, non lava mai i piatti, si
lamenta di tutto e gli puzzano i piedi. Inoltre si
intriga sempre nei fatti degli altri, ma di lui non ha
mai raccontato nulla e nessuno sa esattamente da dove
provenga. In effetti non interessa a nessuno, ed è
sopportato solo perché un nostro comune amico ce lo ha
segnalato come pietoso caso umano pregandoci di
ospitarlo per qualche tempo. Inoltre è di un’ignoranza
abissale: è convinto che il Cubismo sia la
rappresentazione di persone in cubi, che il Dadaismo
derivi dal dadaumpa e che il rinascimento e il
risorgimento siano lo stesso periodo storico. Afferma
con convinzione che Las Vegas è la capitale del
Venezuela, che Shakespere abbia scritto la Divina
Commedia e che uno dei sette nani si chiami Bombolo.
Insomma, non è proprio esaltante averci a che fare e
così lo evitano tutti. Poi, da un po’ di tempo in qua, ha
iniziato a fare la mano morta con le ragazze, ma rimedia
degli sganassoni tremendi. Almeno in qualche modo c’è
qualcuno che lo punisce.
LA STORIA DELLO SCARAFUS LUNATICUS
Questa sera siamo tutti assieme a Villa Trasparenza, parliamo del più e del meno finché non arriva il nostro vecchi amico Rufino che abita poco distante. Porta ancora i segni dell’ultima riunione, un vistoso cerotto sul sopracciglio sinistro e poi zoppica un po’. Quella sera, un po’ per scherzo, un po’ perché avevamo bevuto, abbiamo giocato a tiro al bersaglio con gli zoccoli Pescura. E il bersaglio era lui.
Francamente non posso che ammirare il suo eroismo, ma, mi chiedo, siamo noi così interessanti da far rischiare la pelle a costui? Oppure Rufino è travagliato da una mania autodistruttiva? Deve essere senz’altro così perché appena arriva chiede subito ad Elpidio:- Tu non hai sempre avuto a che fare con il caviale, è vero?-
Tu che ne sai?-
L’ho sentito dire in giro-
Ma tu sei uno sbirro?-
No! mai.-
E’ un rompiaballe troppo curioso- interviene con insolito cipiglio Eufrasia – prima o poi finirà appeso.-Ho sempre sospettato che Eufrasia non sia sempre stata quell’etereo individuo sognante che vuole apparire nonostante l’aspetto trasandato e sudicio; ho
l’impressione che in altri tempi abbia avuto legami con
ambienti poco raccomandabili, chissà forse con la
malavita organizzata.
Comunque Elpidio non si scompone e con un ghigno
risponde a Rufino che lui è un uomo senza passato.
Senza passato un corno! – Sbotta Crispino che compare con un grosso pacco di fogli sotto il braccio pieni di formule matematiche – racconta a lor signori come ti chiamavano quand’eri anche tu professore universitario!-Cristo, chi l’avrebbe mai detto che quel pazzo maniaco del caviale era un professore universitario. La cosa comincia davvero ad essere interessante, devo assolutamente scoprire la verità su Elpidio. Mi accorgo che lo stesso mio pensiero ha attraversato le zucche dei presenti, l’affermazione di Crispino ha messo tutti in agitazione.
Elpidio ha piantato gli occhi in faccia a Crispino, e
sembra che se lo voglia mangiare con tutte le calze e le
scarpe, ma Crispino ha uno sguardo durissimo, la scena
sembra quella di un duello in un film western, infatti
ci scansiamo prevedendo che prima o poi uno dei due
afferri una scarpa e la scagli sull’altro. Anzi ci
scostiamo ancora di più perché potrebbero prendere le
nostre scarpe per spararsi addosso.
Poi Elpidio con una voce rauca e bassa che ricorda
non un film western ma l’esorcista sibila: – Ti sbagli,
stai confondendo persona, i numeri ti hanno dato alla
testa. Fece bene il rettore ad esonerarti all’insegnamento
per insufficienza meningea.-
Non sono stato esonerato per insufficienza meningea.-
Sei stato esonerato perché eri uno sporco sovversivo al servizio di Mosca e dell’imperialismo comunista!-
Esatto, questa era l’accusa, ma tu come fai a saperlo?- La tensione è altissima, Eufrasia ha tutti i peli ritti e siccome sono tutti colorati danno l’impressione di un prato svizzero in primavera: qualcuna delle ragazze dovrebbe consigliare ad Eufrasia di depilarsi invece di dipingersi i peli.
Elpidio tace, ha uno sguardo lampeggiante, ma non dice
una parola. E’ evidente che vuole chiudere il discorso e
non riprenderlo mai più ma Crispino non è di questo
avviso e con aria truce comincia ad arringare:- Sono
stanco di questa storia del fisico deluso che gioca a
pulce perché non ha di meglio da fare, io sto pagando
perché non mi sono mai piegato ai compromessi e ai
giochi di potere. Ed ho sacrificato la mia carriera
universitaria. Quello invece -indica Elpidio con
l’espressione del sommelier costretto a bere un vino in
tetrapak – la sua carriera universitaria se l’ è
costruita tutta sui compromessi e sulle raccomandazioni,
e ne ha combinate tante che alla fine ha dovuto cambiare
mestiere, perché nessuno si potesse più ricordare di
lui. Forza Elpidio, racconta agli amici la tua storia,
così forse, da oggi in poi, avrai un po’ di
considerazione, visto che per ora non ne hai affatto!-
Elpidio si trova tutti gli occhi puntati addosso, si
intuisce che è in un momento di grande indecisione:
per la prima volta a Villa Trasparenza ha suscitato
l’interesse collettivo e non per essere oggetto di
sberleffo e bersaglio di insulti oltre che di bulloni di
ferro, qualche volta, (so che state pensando a me, ma io
Elpidio l’ho centrato solo a colpi di granciporto sulla
spiaggia). Per la prima volta è al centro
dell’attenzione come una volta, quando era qualcuno,
quando era il signor professore. Forse uscendo
dall’anonimato potrà essere considerato come un essere
umano con pregi (pochi) e difetti (enormi). Al contrario
scegliendo il silenzio rimarrà sempre solo il maniaco
del caviale, stupido e ignorante. Ma dovrà svelare il
suo terribile segreto e non potrà barare perché c’è una
persona che sa ed è stanca del silenzio. Però, qualunque
cosa dica, anche se ai miei occhi non sarà di certo più
il maniaco del caviale, rimarrà ugualmente lo stupido e
ignorante Elpidio di sempre. Guardo gli altri e suppongo
che tutti abbiano fatto le mie stesse considerazioni,
poi guardo Elpidio ed anche lui mi sembra che le abbia
fatte: in fin dei conti non ci guadagnerebbe poi tanto:
non più maniaco ma sempre coglione.
Poi finalmente sembra decidersi, si mette comodo su una
poltrona, si versa una generosa quantità di Pernod in un
ampio bicchiere pieno di ghiaccio, ci guarda tutti e
comincia a raccontare.
Ora voi sapete che io nella mia vita non ho solo commerciato in caviale, anzi questa è un’attività che pratico da poco tempo, vendere caviale è un ripiego, un lavoro che sono riuscito a trovare dopo che la mia precedente attività era terminata bruscamente. Soltanto uno di voi sa questo, ma nella sua perfidia di giocatore di pulce, ha messo in giro delle calunnie sul mio conto per cui voi ora mi disprezzate. Ma vi racconterò come andarono veramente i fatti.
Io sono uno dei pochissimi uomini che è sbarcato sulla
Luna con una spedizione della NASA e là si è compiuto
l’apogeo della mia carriera e nello stesso tempo anche
la mia rovina.
Come riuscii a raggiungere la Luna non è difficile da
spiegare, e in effetti molti avevano previsto che fossi
io uno dei selezionati per la spedizione lunare,
soprattutto quelli a cui avevo fatto le scarpe. Questa
spedizione è tuttora sotto segreto di stato, comunque
oggi ne possiamo parlare perché io oramai sono uscito
dal giro scientifico, nessuno mi può più fare nulla
(peggio di come sono ridotto difficilmente si può
arrivare), ed altri personaggi che furono più o meno
responsabili delle mie avventure non ci sono più, come
per esempio mio zio materno.
Lo zietto era un abile e potente politico, dotato di
un’eccezionale capacità camaleontica, era bravissimo nel
crearsi e mantenere vastissime clientele. Nel periodo in
cui io stavo per terminare il mio corso di laurea in
scienze biologiche, egli fu ministro della pubblica
istruzione. Così vennero ad incontrarsi fortunosamente
il suo amore verso il giovane nipote, il suo potere, e
la mia innata capacità di opportunista. L’incontro di
queste tre cose fece si che fossi scelto tra una
ristrettissima rosa di scienziati europei per
partecipare ad una spedizione americana sulla Luna. Su
come un giovanissimo professore universitario riuscisse
a scavalcare tanti professoroni aspiranti astronauti con curriculum accademici vasti quanto l’enciclopedia
Treccani, si fecero un mucchio di illazioni, ma
ovviamente la verità è che ero un raccomandato di ferro.
La mia nomina a membro effettivo della spedizione della
NASA non fu altro che uno dei variegati aspetti del
gioco delle correnti politiche del partito di mio zio.
Ovviamente ciò suscitò un oceano di polemiche, però
vorrei precisare che in quel momento ero già direttore
di cattedra e avevo al mio attivo diversi lavori
scientifici, pubblicati su riviste di prim’ordine, che
mi avevano conferito una certa fama di ricercatore.
Già durante la mia pur sofferta carriera universitaria,
da interno dell’istituto di ecologia, oltre a divertirmi
un mondo ad occupare la facoltà di biologia, fare
gruppi di studio, ricercare il mio io interiore nel
sesso, negli spinelli e nel rock’n roll (a fare insomma
politica attiva), feci delle scoperte già scoperte da
tempo sull’inquinamento dei nostri mari. Impostando però
il lavoro sotto un aspetto storico-socio-politico,
riuscii a trarne una mezza dozzina di pubblicazioni.
Dopo che mi fui laureato entrai in crisi, sapevo di non
sapere nulla, ma siccome avevo scoperto in me un
particolare interesse per la microbiologia, entrai come
ricercatore in quell’istituto, fregandomene altamente di
frequentare perché il direttore era cliente di mio zio.
Desiderando di essere comunque utile alla società,
cominciai a leggere e a tradurre le pubblicazioni
dell’Istituto Pasteur. Io però non conoscevo il francese
e a pensarci bene nemmeno gran che di microbiologia,
cosicché lavorando molto di fantasia su quello che avevo
capito dalla mia improbabile traduzione, elaborai una
teoria sul metabolismo batterico che sin da allora mi
sembrava del tutto allucinante. Decisi però di
pubblicarla a mio nome, e dopo alcuni mesi, con mia
enorme sorpresa, alcuni ricercatori francesi lavorando
sulla mia idea la confermarono. Nell’ambito accademico
fu un vero successo, fui invitato anche all’Istituto
Pasteur dove mi guardai bene di andare perché non avrei
mai e poi mai saputo che dire. Invece accettai subito la
cattedra di biologia generale che mio zio, approfittando
della situazione favorevole, riuscì a farmi ottenere.
Ero il più giovane direttore di cattedra di tutto
l’Ateneo.
A questo punto mi potevo già considerare arrivato:
guadagnavo bene e praticamente non lavoravo. Difatti mi
ero scelto come assistenti due miei colleghi di corso
che al contrario di me erano molto preparati: il lavoro
in istituto lo facevano loro, io ogni tanto mi facevo
vedere per adocchiare qualche giovane, bella e
disponibile studentessa che poi, esaminatane la
disponibilità, promuovevo con 30 e lode.
Riuscii sempre ad accattivarmi le simpatie degli
studenti grazie alle mie lezioni particolarmente
divertenti (qualche maligno diceva che erano una
barzelletta) ed agli esami particolarmente facili. Non
so come, ero considerato uno dei più preparati docenti
della facoltà. Tenevo in istituto un gran numero di
studenti i quali sotto la guida dei miei assistenti (e a
volte mia, quando era il caso di seguire da vicino
qualche interessante studentessa) si esercitavano ad
usare microscopi, fare svariati esperimenti, e
soprattutto un casino d’inferno. Tutto ciò rendeva il mio
istituto uno dei migliori perché era evidente che era
dedicato completamente alla didattica e gli studenti di
buona volontà potevano imparare tante cose pratiche.
Tutto serviva anche come copertura al fatto che non
eseguivamo alcuna ricerca o quasi.
Tutto andava a gonfie vele finché non venni a sapere del
viaggio sulla Luna. Da allora non ebbi più pace: sin da
bambino avevo sognato di andare sulla Luna, da quando
ero ragazzo ero vissuto nel mito di Von Braun e di Yuri
Gagarin, avevo letto un mucchio di libri sulla conquista
dello spazio ma soprattutto possedevo una collezione
sconfinata di libri di fantascienza.
Io dovevo andare sulla Luna, ne feci una questione di
vita.
Gli Americani avevano messo a disposizione degli Europei
un posto per un biologo, uno per un Fisico ed uno per un
geologo e a noi Italiani spettava proprio quello per
biologo. Telefonai a mio zio annunciandogli la mia
decisione di partecipare alle selezioni. Lo zio disse
che avrebbe fatto il possibile, ma aggiunse che per
superare le selezioni era indispensabile presentare al
CNR dei validi progetti inerenti la biologia spaziale da
realizzare sul laboratorio lunare e dimostrare di
essersi interessati di questo argomento. La mia
posizione attuale era già un buon trampolino di lancio,
ma sia i progetti che i lavori scientifici erano
indispensabili, altrimenti gli Americani non mi
avrebbero mai accettato. Tutto doveva essere presentato
entro un anno.
Mi sentii terribilmente depresso, ma non mi scoraggiai.
In due sere scrissi un articolo sulle radiazioni
cosmiche che intitolai: “Ipotesi teoriche sulle influenze
dei raggi cosmici sulle cellule eucariotiche e
procariotiche: si può influenzare l’enuresi con i raggi
gamma?”. Per redigere l’articolo mi basai su un racconto
di Isac Asimov che avevo letto qualche settimana prima.
Feci pubblicare l’articolo sul Bollettino Nazionale di
Biologia Sperimentale, l’articolo non era un gran che,
ma nessuna rivista scientifica si sarebbe mai rifiutata
di pubblicare un articolo del nipote del ministro della
pubblica istruzione.
Quindi piantai un casino pauroso nel consiglio di
amministrazione della facoltà per farmi acquistare delle
apparecchiature che mi sembravano indispensabili al mio
lavoro e non smisi di tormentarli finché non ottenni
quello che volevo. In realtà non avrei avuto il tempo di
utilizzarle, ma pensavo che la presenza di queste
attrezzature in istituto fosse necessaria come copertura
ai lavori scientifici che mi accingevo a scrivere. Non
avrei avuto il tempo di sviluppare dei programmi di
ricerca validi in così poco tempo, ammesso che fossi
capace di idearli, perciò li dovevo inventare.
Mentre aspettavo le mie apparecchiature mi procurai
decine di riviste scientifiche inerenti la biologia
spaziale per avere degli articoli da citare come fonti
bibliografiche, ma soprattutto mi misi alla ricerca di
libri di fantascienza, cercando oltre che nella mia
fornitissima biblioteca, anche nelle librerie, nelle
edicole e nelle bancarelle. Lessi e rilessi migliaia di
pagine e finalmente formulai una decina di teorie
sull’influenza che potevano avere sulle particelle
viventi i raggi cosmici, l’assenza di gravità, le
variazioni dei ritmi circadiani ed altro ancora.
Una volta in possesso dei miei apparecchi (e dei tecnici
che li sapessero usare) mi affrettai a dimostrare come
le mie teorie non erano dimostrabili, salvo una lunga ed
accurata sperimentazione in luoghi adatti, quali, per
esempio, le stazioni spaziali (vedi un po’). Quindi
facevo regolarmente notare quale rivoluzionario apporto
di bene e prosperità avrebbero portato al genere umano
le scoperte che io ritenevo possibili se solo le
ricerche fossero state condotte in luogo adatto e con
sistemi appropriati.
Esposi tutto ciò in numerosi articoli, su riviste
specializzate e su rotocalchi (ricordo che io non avevo
nessuna difficoltà a pubblicare qualunque boiata
scrivessi su tutte le riviste nazionali), e per farmi
conoscere all’estero cominciai a frequentare tutti i
congressi, i meeting ed i convegni internazionali che
erano programmati. Ovviamente in questi casi non
presentavo lavori scientifici, ma mi presentavo io con
la mia grande faccia tosta ai colleghi americani,
inglesi, russi, francesi.
Conoscendo discretamente l’inglese e sfruttando la mia
particolare abilità nelle pubbliche relazioni, divenni
ben presto amico di numerosi importanti biologi
stranieri che spesso invitavo presso il mio istituto a
spese della facoltà.
Facendo visitare il mio istituto essi potevano vedere i
miei assistenti e gli studenti che si affaccendavano nei
laboratori, ma non davo dettagli sulle ricerche in
corso, perché, dicevo, che se non avessi avuto in mano
dati precisi non avrei voluto anticipare nulla dei
lavori che si stavano sviluppando.
In realtà i miei collaboratori non facevano niente di
più che cercare di capire come diavolo funzionassero
quelle maledette apparecchiature.
In compenso ospitavo i miei illustri colleghi nei
migliori alberghi della città, li facevo mangiare a
crepapelle nei migliori ristoranti e, quando era il
caso, fornivo loro una qualificata compagnia femminile
(bene o male c’era sempre qualche studentessa che si
prestava: in fin dei conti non mi costava nulla
dispensare qualche 30 e lode o raccomandare la
volenterosa fanciulla per gli altri esami del corso di
laurea).
In meno di un anno ero già considerato una delle persone
più conosciute nell’ambito della biologia spaziale
internazionale e nazionale anche se molti, pur ritenendo
che io avessi sempre frequentato l’ambiente, non si
ricordavano quando mi avessero conosciuto.
Insomma, alla fine fui incluso nella lista dei possibili
astronauti insieme ad altri dieci biologi provenienti da
altri atenei.
Venni quindi a scoprire che ero uno dei pochi ad avere
tutti i requisiti: la mia giovane età garantiva un
fisico in buona forma, in grado di poter sopportare una
missione spaziale, ero in possesso del brevetto di
pilota civile che mi ero affrettato a conseguire prima
che iniziassero le selezioni e poi avevo un buon
curriculum scientifico.
Così soltanto in tre riuscimmo a superare agevolmente
tutti gli esami medici, psicologici ed attitudinali.
Fummo quindi inviati al centro di addestramento
dell’aeronautica militare, dove si presero cura di noi
un mucchio di gente, tra cui un colonnello che sottopose
con sadico piacere me e gli altri selezionati ad un
addestramento massacrante.
Ma io resistevo impavido e speravo che gli altri due
miei colleghi schiattassero prima o poi, magari durante
una di quelle terribili esercitazioni con la centrifuga
con cui ci allenavamo a sopportare la forte
accelerazione del decollo. Purtroppo anch’essi
sopravvissero.
Oramai la partita si giocava in tre e i miei due
avversari erano nelle mie stesse condizioni: uno non
avrebbe saputo distinguere un fungo da una ranocchia e
l’altro, che si diceva esperto di biofisica, non avrebbe
saputo dimostrare il primo principio della dinamica. Ma
erano entrambi appoggiati politicamente in maniera
ineccepibile.
La situazione ristagnava, eravamo più o meno alla pari e
così si rischiava di rimanere tutti e tre a terra perché
nessuna delle parti politiche coinvolte avrebbe mai
ceduto alle altre. I giorni passavano e nessuno si
decideva a riunire la commissione che, esaminando tutti
i nostri dati personali, avrebbe dovuto decidere chi era
il più idoneo per partecipare alla missione spaziale.
Noi, che eravamo confinati al centro di addestramento,
cominciammo ad odiarci a morte, ci facevamo mille
dispetti e non ci parlavamo se non per insultarci, ci
mettevamo il sale nel caffè, ci allacciavamo di nascosto
i lacci della scarpa sinistra con quelli della scarpa
destra, ci mettevamo le rane dentro il letto e la
maionese dentro le tasche dei pantaloni.
Poi avvenne che il segretario di uno dei partiti di
maggioranza, diventato oramai completamente
aterosclerotico, fu spodestato dai suoi collaboratori,
ci fu un terremoto politico e il governo cadde.
Le opposizioni rivendicarono la guida del governo, i
partiti di maggioranza si spaccarono e si parlò di
elezioni anticipate.
Tuttavia il mio caro zietto che, come vi dissi, era
dotato di eccezionali capacità camaleontiche, riuscì a
passare ad un’altra corrente politica, quella giusta
ovviamente, in tempo per partecipare con successo alla
formazione di un nuovo governo di coalizione, con
l’appoggio dei Comunisti e l’astensione dei
Repubblicani. Così riuscì ad arraffare la poltrona del
Ministero delle Partecipazioni Statali: una vera pacchia
per lui e per me.
Chi appoggiava i miei due antagonisti fu invece meno
bravo e non riuscì nemmeno a diventare sottosegretario:
ormai era fatta.
La commissione fu rapidamente riunita ed in 30 secondi
esaminò i curriculum dei candidati, cioè tutta la nostra
carriera universitaria, tutte le nostre pubblicazioni, e
tutti i nostri titoli ed alla fine, all’unanimità mi
proclamò vincitore della selezione. Sulla Luna ci sarei
andato io!
Arrivato in America però mi aspettava una piccola
delusione: dati i rapporti tesi tra Europa e Stati Uniti
da una parte ed Unione Sovietica dall’altra, la missione
congiunta sulla Luna USA-Europa sarebbe stata resa nota
solo al nostro ritorno, e comunque con questa spedizione
si sarebbe esaurito il progetto Apollo: i costi troppo
elevati avevano indotto l’amministrazione americana a
cercare nei partners europei dei sostenitori finanziari
al progetto ed erano proprio gli Europei che pagavano in
buona parte questo viaggio che sarebbe costato milioni
di dollari. Ero veramente commosso all’idea che il
Popolo Italiano sborsasse tanti miliardi per mandare me
sulla Luna, ma infondo pensavo che quel viaggio io
proprio me lo meritavo, non per altro che perché io ero
il più bello, il più furbo, e il più ganzo.
Accompagnato da un funzionario dell’Ambasciata Italiana
mi fecero giurare insieme ai miei compagni di viaggio
che non avrei reso noto nulla della spedizione fino al
momento del nostro ritorno, che le conoscenze acquisite
durante gli esperimenti scientifici sarebbero state
patrimonio esclusivo dei paesi che partecipavano alla
missione e comunque qualunque dichiarazione doveva
essere preventivamente concordata con la NASA e con i
funzionari del Governo Americano. Io giurai tutto quello
che volevano, tanto non me ne fregava assolutamente
nulla. Sarei andato sulla Luna, questa era l’unica cosa
importante per me.
Così conobbi gli altri astronauti, eravamo in quattro.
Per l’occasione la capsula Apollo, che era stata
originariamente progettata per tre astronauti, era stata
ingrandita: Il comandante della missione era un
colonnello dell’Aviazione della Marina americana che si
chiamava Dan Cooper. Il secondo pilota era inglese, il
professor Mortimer: sarebbe rimasto sulla capsula Apollo
ad orbitare attorno alla Luna per eseguire degli
esperimenti di telemetria con un laser sperimentale. Poi
c’era il francese, il professor Luc Orient che era un
illustre geologo. Cooper, Orient ed io saremmo scesi
sulla Luna con il modulo lunare, il LEM, e avremmo
lavorato sul suolo lunare per una settimana. Dopo di che
ci saremmo ricongiunti con Mortimer sulla capsula Apollo
e abbandonando il LEM su un’orbita lunare, saremmo
tornati sulla Terra.
I miei compagni d’avventura erano veramente in gamba e
preparatissimi, non per questo mi sentivo con un
complesso di inferiorità, dopotutto anch’io nel mio
campo (quello puramente teorico immaginativo) ero uno
dei migliori.
Trascorsero alcuni mesi che impiegammo per conoscere
la navicella spaziale, per mettere a punto le attrezzature
e per esercitarci nelle manovre di emergenza, poi
finalmente la mattina del primo di maggio ci fu il
count-down.
Il viaggio andò benissimo, ma nonostante il
condizionamento a cui ero stato sottoposto ero in uno
stato perenne di eccitazione, ero felice, finalmente il
mio sogno si avverava. Dopo tre giorni eravamo già in
orbita lunare e il quarto giorno allunammo.
I miei due compagni di navicella si dettero
immediatamente da fare con i loro apparecchi e iniziammo
a turno le uscite sul suolo lunare. Io armeggiavo con
delle capsule ermeticamente chiuse che contenevano delle
colture di lieviti e di batteri Escherichia Coli che
facevano parte dei miei esperimenti. In realtà nulla di
veramente importante, ma mi godevo la Luna.
Tutto andò liscio, finché al terzo giorno non accadde
il fatto.
Ero all’interno del Modulo Lunare intento a seguire con
le telecamere i miei due compagni che passeggiavano per
la Luna, quando improvvisamente il colonnello Cooper
esclamo:- Per Dio!-
Disse proprio così e poi ammutolì. Il professor Orient
si preoccupò e siccome si era allontanato un poco,
velocemente si avvicinò a Cooper che era rimasto
immobile. Con mio grande stupore vidi Orient
immobilizzarsi accanto a Cooper. Ambedue tacevano e
guardavano un punto preciso del suolo lunare. Cominciai
a preoccuparmi, cosa facevano là impalati a guardare per
terra?
Afferrai il microfono e dissi concitatamente:- Ehi cosa
succede? che avete perso per strada?-
Per Dio- esclamarono in coro.
Che vuol dire “per Dio”?-
Resti lì professore, non si muova, ma credo che abbiamo fatto la scoperta del secolo, anzi che dico, del millennio- mi rispose il colonnello Cooper.
Poi vidi il colonnello tirare fuori dallo zaino una
scatola trasparente di perspex, chinarsi a terra e
armeggiare per circa un minuto con la sua scatolina, nel
mentre Orient faceva fotografie a più non posso.
Poi Cooper mi chiamò per radio e mi disse: – Si prepari
professore, qui c’è roba per lei, si leccherà i baffi-
Santo cielo cosa avevano mai trovato? La curiosità era
enorme ma cominciai a preoccuparmi: cosa avrei dovuto
fare? Perché Cooper aveva detto che c’era roba per me?
Con quattro salti i due arrivarono al LEM favoriti dalla
bassa gravità lunare ed in breve la scatola di perspex
era davanti ai miei occhi: dentro si muoveva
impercettibilmente un coso, lungo circa cinque
centimetri, che era l’esatta riproduzione di uno
scarafaggio, di quelli rossi che d’estate ti entrano a
tradimento in cucina dagli scarichi delle fogne, di quel
tipo che mi aveva fatto sempre uno schifo tremendo.
Alzai gli occhi dall’alieno e incontrai lo sguardo
interrogativo dei miei due compagni. In un lampo la
situazione mi si rivelò in tutta al sua drammaticità:
Quella era la prima forma di vita extraterrestre che
l’uomo avesse incontrato in tutta la sua storia, ed io
ero il biologo di bordo. I miei compagni, gli scienziati
al centro di controllo a Huston, il Governo Americano,
il Governo Italiano, tutta la comunità scientifica,
tutta l’umanità si attendeva che io in quel fatidico
momento, nella mia qualità di biologo spaziale,
nell’avamposto più estremo e più tecnologico
dell’umanità, esaminassi, catalogassi, capissi tutto,
dicessi la mia sull’alieno e magari gli parlassi.
Invece tutti si sarebbero accorti che io non avevo la
minima preparazione per poter fare o dire assolutamente
nulla.
E per colmo di sfortuna l’alieno mi faceva pure schifo.
La mia carriera avrebbe subito un colpo terribile e
tutti quelli che avevo danneggiato per raggiungere la
mia posizione ne avrebbero approfittato per rifarsi su
di me.
Avevo la gola secca, cominciai a sudare freddo e a
sentire le gambe molli, non capivo più niente e a stento
mi rendevo conto di dove fossi.
E’ uno scarafaggio- dissi con voce strozzata.
Alla mia dichiarazione seguì un silenzio di tomba,
evidentemente si aspettavano un commento diverso alla
straordinaria scoperta.
E’ fantastico- esclamò dopo un poco Cooper – il buon Dio ha voluto concederci questo incredibile privilegio, la nostra spedizione sarà ricordata con la stessa importanza della scoperta dell’America da parte di Colombo, finiremo sui libri di scuola e l’umanità ricorderà per sempre i nostri nomi!-
E lei verrà immediatamente promosso generale- disse Orient che forse era il più lucido.
Sì, e poi, per lo meno, capo di stato maggiore- continuò Cooper con aria sognante.
Dobbiamo immediatamente avvertire il centro di controllo di Huston- riprese Orient- forza colonnello, a lei questo onere e questo onore.-Cooper estrasse da un armadietto un piccolo manuale sigillato con la copertina nera e la scritta “TOP SECRET”, lo aprì e cominciò rapidamente a consultarlo:
non possiamo mandare il messaggio in chiaro via radio, dobbiamo utilizzare il codice segreto militare perché ci troviamo comunque di fronte ad un rappresentante di un paese straniero e soprattutto la notizia non deve trapelare, guai se i comunisti o la stampa venissero a sapere anzitempo della scoperta!-Mi guardai attorno stupito: chi era il rappresentante del paese straniero a cui si riferiva il colonnello? Il mio sguardo si posò sulla blatta spaziale: era lui! Cominciavamo bene! Oltre alle complicazioni di ordine scientifico ci sarebbero state anche quelle politiche e diplomatiche.
Cooper trasmise il messaggio in codice, dopo alcuni
secondi Huston accusò la ricezione ma non dette risposta
immediata.
Mentre attendevamo il resto della comunicazione Cooper e
Orient cominciarono a fare tutta una serie di ipotesi e
considerazioni sull’extraterrestre: – Si muoveva
lentamente sul terreno lunare e l’ho visto proprio per
caso, è incredibile che senza atmosfera, senza acqua nè
evidenti fonti di cibo possa esserci la vita su questo
satellite!- disse il colonnello.
Probabilmente è un essere che trae l’ossigeno dai minerali, e poi non è improbabile che nel sottosuolo lunare vi siano delle riserve di acqua- disse Orient, e poi rivolto a me:-Che ne pensa professore?-
E’ una buona idea- risposi.
Inoltre- continuò Cooper sempre rivolto a me- potrebbe vivere nel sottosuolo per rifornirsi di acqua, salire in superficie per trarre energia dai raggi solari magari utilizzando un sistema metabolico simile a quello della fotosintesi clorofilliana delle piante, e la corazza di cui è ricoperto lo proteggerebbe dalla mancanza di pressione atmosferica. Che ne dice professore?-
E’ una buona idea- dissi.
Dovremmo confrontare la polvere di cui è ricoperto con quella della superficie lunare e fare un carotaggio della crosta lunare per vedere se in profondità troviamo residui geologici simili, che ne pensa?-
E’ una buona idea- ripetei.
Ed anche esaminare le feci che emette per capire cosa mangia, che ne pensa professore?-
E’ una buona idea- risposi ancora una volta, inorridito dall’idea che comunque andassero le cose sicuramente quello schifosissimo animale lo avrei dovuto avere tra le mani. Ed anche la sua cacca.
In quel momento arrivò la comunicazione da Huston.
Cooper prese il suo manualetto e tradusse il messaggio
in codice, quindi si rivolse a me e mi disse: – Vogliono
da lei una descrizione dell’alieno e ci vietano di
mandare via etere qualunque immagine perché otrebbe
essere intercettata.-
Annuii gravemente, presi una lente di ingrandimento e
cercando di vincere il disgusto cominciai ad esaminare
l’alieno attraverso il rassicurante contenitore di perspex:
è lungo circa 5 centimetri- dettai a Cooper che
traduceva in codice- ha sei zampette, due antenne sulla
testa, due bozzi che sembrano occhi ed una bocca-
Tutto qui?-
E’ coperto da una corazza chitinosa grigia- aggiunsi.
Un po’ deluso Cooper trasmise il messaggio.
Dopo i soliti secondi necessari ai messaggi radio per
viaggiare fra la Terra e la Luna, giunse un’altra
richiesta:- Vogliono sapere se l’alieno è un essere
intelligente e se si può comunicare con lui- disse
Cooper sorpreso. Guardammo prima lo scarafaggio e poi ci
guardammo negli occhi tutti e tre: non sembrava proprio
che quel coso fosse particolarmente furbo. Non so come,
forse per l’ostilità che sentivo nei suoi confronti,
ancor prima di riflettere esclamai:- No! Non è
intelligente, lo escludo nella maniera più assoluta!-
Cooper prese la mia esclamazione come un’affermazione
di certezza e ancor prima che potessi fermarlo trasmise il
messaggio.
Dopo pochi secondi Huston rispose e Cooper tradusse:
Vogliono sapere come fa ad esserne certo.-
Si vede dalla faccia, ha un’espressione da ebete- dissi irritato. Cooper trasmise.
Dopo poco Huston inviò questo messaggio: “Attendete
istruzioni, nel frattempo tenete sotto costante
osservazione l’essere extraterrestre e programmate altre
uscite sul suolo lunare per controllare se vi siano
altri alieni intorno al LEM.”
Cooper non se lo fece ripetere due volte: piantò me a
tener d’occhio l’essere alieno e se ne uscì con Orient a
cercare scarafaggi.
Non ne trovò. Dopo un’ora di ricerche, esaurita la
riserva d’aria i due rientrarono stanchi e scontenti, ma
appena rividero il nostro extraterrestre il loro viso si
illuminò di nuovo come quello di un padre che rivede il
proprio figliolo.
Io nel frattempo, lungi dal guardare la blatta lunare,
avevo cominciato a studiare qualcosa per cercare di
ridurre al minimo la brutta figura che stavo facendo, ma
non mi erano venute idee particolarmente brillanti,
invece, memore delle letture di fantascienza della mia
giovinezza in cui gli alieni erano descritti quasi
sempre come esseri subdoli e mostruosi che le
sperimentavano tutte per distruggere gli esseri umani,
cominciai a nutrire una certa preoccupazione prima e poi
una vera e propria paura nei confronti di quell’essere.
O era che gli scarafaggi mi avevano sempre disgustato?
Fatto sta che mentre Cooper e Orient erano lì, chini
sulla scatoletta di perspex che si comportavano come due
genitori sulla culla del loro bambino e dicevano “ma
guarda che carino”, oppure “guarda come muove le
zampettine”, “ma che belle antennine che hai!
piripiripiri!”, io mi sentivo sempre più angosciato. Ero
solo, a centinaia di migliaia di chilometri dalla terra
con quel mostro chitinoso capace di tutto e quei due
deficienti che non capivano con chi avevano a che fare.
Dovremmo trovargli un nome- disse Cooper mentre lo coccolava.
Chiamatelo Ciccio Bello- risposi acido.
Ah, che trovata divertente- disse Cooper tutto allegro.
Penso che il colonnello si riferisse ad un nome scientifico- si affrettò a precisare il professor Orient.
Scarafus Lunaticus – improvvisai su due piedi.
Bene, comunicherò il nome alla base- disse Cooper soddisfatto.
In quel momento si mise in funzione la radio di bordo e
Cooper cominciò a decifrare messaggi, ma vidi che quasi
subito si irrigidì come se dovesse scattare
sull’attenti. Tuttavia questa volta non ci traduceva
nulla, anzi rispondeva direttamente senza consultarci.
Brutto segno pensai.
Poi finalmente si rivolse a noi e assumendo
l’espressione più ufficiale che poteva disse: -Ho
appena comunicato con il Presidente degli Stati Uniti in
persona che si congratula con tutti noi per la
sensazionale scoperta. Il presidente con i suoi più
stretti collaboratori ha studiato attentamente la
questione ed ha così deciso: se non si può escludere a
priori che lo Scarafus Lunaticus sia un essere
intelligente o che comunque non appartenga ad un istema
pensante più vasto, va trattato esattamente come un
essere umano, Trasportarlo sulla Terra significherebbe
di fatto rapire un cittadino di un altro paese e questo
avrebbe da un punto di vista diplomatico delle
implicazioni disastrose.-
Bene, buttiamolo fuori ed andiamocene – dissi
speranzoso.
Non è finita professore- continuò il colonnello- nel rispetto totale dello Scarafus Lunaticus, questo andrà studiato con i mezzi che abbiamo a disposizione qui sul
LEM e poi liberato sano e salvo se riconosciuto
intelligente oppure trasportato sulla Terra se
riconosciuto non intelligente.-
Quindi mi porse un foglio di carta dove aveva scritto
quali indagini si dovessero effettuare utilizzando nei
modi più disparati gli apparecchi che avevamo a bordo.
L’elenco era disperatamente lungo. Poi continuò: -Gli
esperti del Presidente consigliano di eseguire le
indagini mettendo in contatto lo Scarafus Lunaticus con
dei minerali lunari di diverso tipo e registrare
accuratamente ogni tipo di reazione-
Facile- disse Orient che aveva raccolto in quei giorni secchi di pietre di tutti i tipi.
Impossibile- gridai.
Perché ?- chiesero in coro gli altri due con espressione stupita.
Non possiamo aprire la scatola di perspex per due motivi: Il primo è che lo Scarafus Lunaticus non vive nell’atmosfera ed il contatto con l’aria della cabina potrebbe essergli fatale. Il Secondo è che se esiste una forma di vita così relativamente evoluta probabilmente ne esistono altre meno evolute come virus e batteri di cui lo Scarafus potrebbe essere portatore, aprendo la scatola potrebbe infettare l’atmosfera del LEM e questo potrebbe essere fatale per noi.-
Questa volta dovevo essere stato proprio convincente,
almeno ne avevo azzeccata una, perché i due miei
compagni assunsero un’aria preoccupata ed assorta.
Non possiamo nemmeno aprire la scatola fuori dal LEM dato che molte delle apparecchiature che ci servono sono di fatto inamovibili perché progettate per funzionare all’interno del Modulo- disse sconsolato Orient.
Non resta che chiedere istruzioni a Huston- Tagliò corto Cooper e immediatamente cominciò a trasmettere
in codice.
Dopo pochi minuti arrivò la risposta, Cooper
decifrò e così disse: – Indossare le tute spaziali, fare
uscire tutta l’aria dal LEM e procedere con gli esami.-
Mi sembra pazzesco- esclamai- con le tute spaziali non potremo muoverci in uno spazio così angusto-
Ma non abbiamo altra scelta -disse Orient- l’appuntamento con la storia non si può differire, costi quel che costi, in fin dei conti siamo scienziati, e la scienza viene prima delle nostre vite!-
Giusto! non perdiamo ancora tempo! Faremo conoscere al mondo intero il nostro valore!- esclamò il colonnello Cooper, e tutti e due subito cominciarono ad indossare
le tute spaziali. Mi veniva da piangere, volevo
scappare, pensai che forse potevo far finta di sentirmi
male o dire che mia nonna era in fin di vita e dovevo
tornare subito in Italia, o che avevo dimenticato il gas
aperto, oppure potevo dire a Cooper che in quel momento
sua moglie gli stava facendo le corna col fratello di
Orient… invece indossai la tuta anch’io.
Appena fummo pronti Cooper espulse l’aria dal LEM e Orient prese la scatola di perspex per aprirla.
Ma i guanti della tuta gli impedivano i movimenti delle dita
e non ci riusciva. Cooper decise di aiutarlo, ma la
situazione peggiorò: con la gravità ridotta in
quell’ambiente piccolo cominciammo a sbatacchiare l’uno
contro l’altro dando colpi di casco a destra e a
sinistra imprecando e insultandoci a vicenda. La
situazione era assolutamente ridicola.
Poi improvvisamente la scatola sfuggì di mano ad Orient,
andò a schiantarsi sul soffitto del LEM, si aprì e lo
Scarafus Lunaticus fuggì via. Ci fu un cozzo terribile
di caschi e ci scambiammo dei calci tremendi per cercare
di afferrare lo Scarafus (gli altri due) e per cercare
di evitarlo (io). Rotolammo tutti sul pavimento.
Fui il primo a mettermi in piedi e sentii Cooper che mi
gridava dentro gli auricolari del casco: -Professore è
proprio davanti ai suoi piedi!-
Guardai sul pavimento e vidi l’abominevole insetto a
pochi centimetri dai miei stivali. E lo pestai.
Fu un riflesso condizionato di cui mi resi conto solo
dopo che avvenne: ma nel momento in cui attraverso la
tuta sentii il krack dello scarafaggio schiacciato, ebbi
un attimo di gioia. Poi mi accorsi dell’enormità del
mio gesto e il panico cominciò ad assalirmi: ci fu un
lunghissimo momento di silenzio, guardai davanti a me:
Orient Esclamò: – Ciccio Bello! Non ci lasciare!- e
scoppiò in lacrime.
Cooper era in piedi e non mi arrivava negli auricolari
alcun suono, ma quando guardai dentro il suo casco vidi
che gli occhi gli ardevano come tizzoni ed intuii che
del fumo gli uscisse dal naso e dalle orecchie. Poi
guardai la suola del mio stivale: i resti dello scarafus
erano appiccicati per metà alla suola e per metà erano
rimasti sul pavimento del LEM. Nel silenzio generale
recuperai la scatola di perspex e vi infilai le spoglie
dell’extraterrestre, quindi richiusi la scatola
ermeticamente e reintrodussi l’aria all’interno del
modulo. Ci togliemmo i caschi.
Non avevo il coraggio di dire una parola, guardai di
nuovo Orient che piangeva e Cooper che mi fissava. Aveva
uno sguardo carico d’odio e sicuramente stava pensando
in quanti modi mi poteva ammazzare.
Dobbiamo fare rapporto- gli dissi e lui sbiancò in viso: come mai avrebbe potuto spiegare al Presidente quello che era accaduto? Erano cavoli suoi pensai, per lo meno con la preoccupazione di trovare una storia plausibile da raccontare avrebbe desistito dai suoi immediati propositi omicidi ed io avrei riportato a casa la pelle.
Poi guardai nella scatola di perspex i resti di quel
povero esserino schifosino, ora mi faceva quasi pena.
Con lui erano morti i sogni di gloria di Orient e le
ambizioni di Cooper, ma sicuramente si erano infranti
anche tutti i progetti che i politici e le segreterie di
stato sulla terra avevano di certo già iniziato a
preparare per sfruttare contro gli avversari l’effetto
della scoperta. Avrebbero sfruttato nei modi più biechi
l’immagine di quel povero insetto.
Ma non c’è niente di peggio per un essere umano che
vedersi sfuggire di mano un traguardo quando questo
sembra ormai definitivamente acquisito. Infatti il
collegamento radio fra Cooper, il Presidente degli Stati
Uniti e gli Scienziati di Huston fu particolarmente
tempestoso. Il colonnello che evidentemente aveva
inviato un rapporto abbastanza preciso di quello che era
avvenuto, ricevette dei messaggi che dovevano essere
terribili, perché ogni volta che decodificava i
messaggi, sudava freddo e impallidiva, poi regolarmente
rivolgeva lo sguardo verso di me e mi guardava con odio.
Alla fine disse, rivolgendosi ad Orient: – Abbiamo
l’ordine di rientrare immediatamente sulla Terra, tutti
quanti. Purtroppo non mi hanno autorizzato a buttare
fuori da questa astronave quel bastardo- e indicò me
senza nemmeno guardarmi.
Da allora non ci parlammo più.
Il viaggio di ritorno fu penoso, nella capsula Apollo
che era piccolissima e ci stavamo a stento seduti tutti
e quattro, con grande disappunto di Mortimer, evitammo
accuratamente non solo di scambiarci la più piccola
sillaba, ma anche di toccarci. Per le comunicazioni
indispensabili al volo, Mortimer dovette fare da
intermediario fra me e gli altri due.
Una volta atterrati fummo sottoposti ad una brevissima
(almeno per me) inchiesta e quindi fui rispedito senza
tanti complimenti in Italia sul primo aereo di linea con
l’allegra compagnia di un capitano dei Carabinieri.
Prima di partire un funzionario del Pentagono mi
comunicò che visto l’infausto risultato dell’impresa,
nessuno ne avrebbe mai saputo nulla, e mi ammonì a
tenere il segreto.
Durante il viaggio in aereo non parlai molto con il mio
accompagnatore, ma ad un certo punto questi mi disse:
Caro professore, non so cosa sia successo alla NASA, ma deve essere successo un bel casino: l’ambasciatore italiano è stato convocato alla Casa Bianca e poi è stato richiamato a Roma, ed il governo è stato sull’orlo della crisi, c’è stato un rimpasto.-
Non è una novità – risposi -in Italia c’è una crisi di governo ogni settimana-
Questa volta sembra che siano stati gli americani a provocare un putiferio-
Non può immaginare quanto danno possa fare uno scarafaggio-
Ma che c’entrano gli scarafaggi?-
Non risposi. Forse il capitano sapeva tutto o forse no,
ma io non avevo proprio voglia di parlare.
Arrivato a Roma mi scapicollai da mio zio, ma alla sua
segreteria mi dissero che era occupatissimo e non poteva
ricevere nessuno. Allora mi qualificai per il nipote
amatissimo, ma quelli mi dissero che non gli risultava
che l’onorevole ex ministro avesse mai avuto un nipote.
Fu in quel momento che capii quale era la vera entità
del disastro: se Orient non sarebbe mai diventato
famoso, se Cooper non sarebbe mai diventato generale,
ma era già tanto se fosse rimasto a vita colonnello, io ero
sicuramente rovinato.
Non fui sorpreso pertanto di trovare sulla mia scrivania
in istituto la lettera delle mie dimissioni già scritta,
mancava solo la firma.
Firmai immediatamente e sparii.
Elpidio tace, mi accorgo che la bottiglia di Pernod accanto a lui è ormai vuota, e forse lui è un poco ubriaco, ma sembra più sereno. Francamente mi sembra proprio di vederlo sotto una luce diversa, ma non riesco a capire quale. Non so se compiangerlo o dirgli che gli sta bene.
Invece Artura sembra avere le idee più chiare:- Hai
fatto una cosa orribile-.
Hai ragione, non avrei mai dovuto ammazzare lo Scarafus
Lunaticus.-
Ma non mi riferisco a questo, testone!-
A cosa allora?- Chiede Elpidio sinceramente stupito.
Hai imbrogliato tutti, hai inventato ricerche scientifiche inesistenti, hai fatto mettere da parte scienziati molto più bravi di te e non per ultimo facevi prostituire le studentesse! Eri un mostro!-
Chi io? E perché ?- Continua Elpidio con un candore disarmante.
Chi nasce tondo non può morire quadrato- commenta amaramente Rachele,- basta, io voglio andare a letto, questa storia mi ha veramente distrutta.-Sembra che Rachele abbia parlato per tutti, infatti i presenti si alzano e in silenzio se ne vanno.
Elpidio rimane solo con la sua bottiglia di Pernod vuota
e i suoi fantasmi.
Chissà se il fantasma dello Scarafus Lunaticus ogni
tanto non gli compaia in sogno e gli faccia il solletico
ai piedi.
Dalla camera da letto da cui normalmente, nonostante le pareti di vetro, non riusciamo a distinguere all’esterno vediamo chiaramente fino nel soggiorno dove Elpidio è rimasto solo sulla poltrona incapace di alzarsi. È la prima volta che succede, è come se ci fosse un corridoio luminoso puntato su di lui, come se tutto in torno a lui fosse trasparente, egli in questo momento è al centro dell’attenzione della casa, ma proprio della casa più che dei suoi inquilini. Poi lentamente, come in una dissolvenza, le pareti si vanno offuscando ed Elpidio ancora una volta scompare.