di Ornella Mallo                                                                                                      11/05/2020
“A questo mondo disumano, fatto di direttive e di risultati tangibili, distribuiamo sorrisi, fiori, baci,
gatti, musica, preghiere, gratuità.
Questo è il peggiore affronto, la controcultura più profonda.”
Scriveva così, Adriana Zarri. L’inutile, ossia ciò che non è suscettibile di valutazione in termini di
profitto economico, vada distribuito in segno di rivolta all’aridità che imperversa.
Distribuiamo poesia, allora. Con essa, diamo voce alle anime, costrette all’afonia dal materialismo,
e cospargiamo di colore il mondo spento, informe, omologato, nel quale siamo costretti a vivere.
Una delle voci poetiche più interessanti degli ultimi anni è sicuramente quella di Lavinia Alberti.
Siciliana, nata nel 1991, è alla sua seconda raccolta di poesie, intitolata “Incoerenze”.
Walt Whitman soleva affermare: “Mi contraddico? Ma certo che mi contraddico! Sono grande,
contengo moltitudini.”
Scrive la Poetessa in “Non ho tempo”: “No,/ non sono un saltimbanco di anime;/sono giocoliera
delle mie moltitudini;/ è lì che specchio le mie contraddizioni;/ i miei spasmi indefiniti./Limpidezze
si riflessero/su quella panchina/dove avevo lasciato/il mio passato./Quei volti monocromi si
offuscarono:/presero il volo per far spazio/ finalmente/ a me.”
Scavando nel proprio mondo interiore, la Alberti scorge una moltitudine di volti, innumerevoli
sfaccettature, contraddizioni: luminosità che si offuscano, zone ombrose e indefinite che si fanno
limpide in un passato che affiora dalla memoria per farsi presente e in un presente che diventa
subito passato: la pluralità di facce si ricompone e si volatilizza, per lasciare spazio all’unicità
dell’Io. Scriveva Saramago: “Dentro di noi c’è una cosa che non ha nome, e quella cosa è ciò che
siamo”. O anche Tomas Transtrommer: “Mi porto dentro i miei volti precedenti, come un albero
contiene i suoi anelli. Io sono la loro somma. Lo specchio vede solo il mio ultimo volto, ma io so
anche tutti quelli precedenti”.
Dunque, la poesia sgorga dalla perlustrazione sofferta dei propri abissi, e non maschera tutto ciò
che, in quanto incoerente, è anche scomodo. Scomodo nella misura in cui crea trambusto
nell’anima, confusione, angoscia. La poetessa avverte prepotentemente il desiderio di riempire i
vuoti percepiti, di univocità, di compattezza, di integrità psicologica; di realizzazione dei sogni
disattesi. Leggiamo in “Abissi”: “Solo chi sprofonda negli abissi,/nel buio delle notti più
tormentate,/potrà un giorno vedere/ la luce. /Solo chi sprofonda/nelle proprie inquietudini,/ chi
scava a fondo, chi si perde/diventerà un giorno/diamante.”
E in “Carnevale”: “In questa perenne moltitudine che mi avvolge,/ e quasi mi assale come preda/ tra
giochi, coriandoli e risa/ sento più che mai la mia solitudine, piena:/pensieri, immagini, passati non
andati,/lasciati, annodati su quel ciglio di strada. /In questa perenne moltitudine che non cambia,/il
peso di angosce non tramontate, /sento mancare un pezzo di me,/sento aprirsi un lembo di terra
arso./Intravedo corpi che non hanno direzione né volto./D’un tratto rimbomba quella voce di bimba
che sussurra/parole scivolose come burro…/nessuno le ascolta.”
Dalla lettura di questi versi, emerge il secondo elemento importante nella poetica della Alberti: al
primo elemento che è lo scavo interiore, necessario per trovare una propria identità univoca, in cui
si conchiudono le sfaccettature che ne fanno parte, si affianca la solitudine. Una solitudine talvolta
subìta, generata da una mancanza di ascolto, come emerge dall’immagine delle parole di burro
pronunciate da una poetessa bambina, che scivolano senza lasciare traccia.
Altre volte invece è ricercata come una condizione generatrice di benessere, di pace. Non quindi
l’isolamento misantropo, vuoto e brutale. Ma una solitudine piena, feconda, calda: “Ho bisogno
​della mia solitudine per capire/chi sono,/ non sopporto quel chiacchiericcio vuoto che assilla/la mia
mente;/non sopporto quei nomi e quei volti/che riecheggiano/dentro me.”
Prosegue la poetessa: “Solo tu puoi salvarmi/amor mio:/lasciamoci alle spalle chi eravamo./Mi
basterà un solo sguardo/per capire se potremo essere felici/insieme/o se dovrò tornare ancora una
volta alla mia solitudine./”
Ecco quindi il terzo elemento nella poetica della Alberti: ossia l’amore. Già nella raccolta “Gocce”,
che precede “Incoerenze”, emergeva la sua visione amorecentrica. Il rapporto col tu è necessario per
dare movimento a una vita che altrimenti sarebbe stagnante, sterile. Ogni più piccola parte di noi
deve essere capace di donare amore. Solo così acquista significato.
“Un amore che ha bisogno/non è amore,/ un amore che insegue la sua ombra/non è amore, /un
amore che implora di continuo/non è amore./Tutto il resto, invece:/una parola semplice,/un piccolo
gesto./Nient’altro./”
La poesia della Alberti può senz’altro essere accostata a quella della Pozzi, altra autrice interessante
dei primi anni del Novecento. Passionali entrambe, giovanissime, dallo stile sobrio, accomunate
dalla ricerca della parola profonda, ricca di significato. Vicine per il sentire l’amore come magia
dell’essere in due, salvifico se corrisposto; ma fonte di acuto dolore quando non viene accolto e
compreso nella stessa intensità dall’Altro. Leggiamo in “Complice assassino”: “Quanto
oceano,/quanto mare/in quei tuoi occhi./Quanto sale/mi bruciava/i verdi occhi./E non contavo più/le
praterie silenti/di anime roventi./Quanta pioggia/in quel mio cuore,/di cui solo tu fosti/complice
assassino”.
Prevale comunque, nella Alberti, una visione positiva dell’amore, capace di allontanare la morte,
come suggerisce l’etimologia stessa della parola: a-mors, con l’alfa privativo anteposto alla parola
mors, morte. Amore significa prendersi cura dell’altro per impedire che muoia, e per non morire noi
stessi. Un amore per l’Altro che resta fermo come una roccia, non viene corroso dal tempo.
Leggiamo in “I-sola”: “Su un’isola lontana/giace il mio pensiero:/un punto nell’oceano/naufragato
nel dolce/suono marino./Di carne e ossa diventò/ a forza di pensarti./Divenne roccia/in riva al
mare/ad aspettarti:/immobile./”
Quel titolo, “I-sola”, rimanda a due consapevolezze della poetessa: la consapevolezza della propria
solitudine, che comunque persiste, in quanto avvolge l’Io nella ricerca e nella formazione della
propria identità; e la possibilità di aprire i propri confini per accogliere l’Altro dentro di sé. Quindi
non un isolamento dettato da animosità e rancore nei confronti dell’altro, ma una solitudine
percorsa da un silenzio che assorda, da voci che si fanno presenza, aperta a un dialogo ininterrotto.
Una “beatitudo”, per dirla con Petrarca, poeta e solitario.
Mi viene in mente anche Rilke, citato come autore di riferimento dalla stessa Alberti: “Nel profondo
di me custodisco/un piccolo giardino cinto di solennità,/che nessuna angoscia potrà raggiungere./E
se vorrai, di anno in anno, /ne sposteremo più in là i confini./
In “Istanti di vita” leggiamo:”Istanti di vita a pensarti./Secondi che diventano/mesi e poi…/il mio
pensiero si unisce/al tuo come trame di lino./Ogni filo un ricordo:/ compone il tessuto./Era
rosso,/come il tuo maglione/quel giorno di nubi velate./Non sapevo ancora che era/preludio di tanta
pienezza…/di tanta amarezza.”
E torniamo così al titolo della raccolta, “Incoerenze”: è la vita stessa a determinare incongruenze,
perché in essa convogliano opposti: vita e morte, felicità e dolore. Attimi e percezioni di eternità,
nella misura in cui si elevano sempre di più le nostre emozioni, prescindendo dal momento
presente, contingente. Ed è la vita tutta ad essere scandagliata e compresa, in ogni atomo di cui si
compone, dalla poesia, che come diceva Brodskji, “è il più alto grado di maturità del linguaggio”.

Concludiamo le nostre riflessioni sulla raccolta della Alberti, citando “Ordinaria felicità”, che
secondo me è assolutamente rappresentativa del suo pensiero e della sua visione della vita come
dono, piena di luce: “Brividi:/luccicanti bagliori di vita,/effervescenti energie/in un corpo
attorcigliato/dalla stanchezza/di una vita./Giorni di nero/fitti come boschi,/alcuni bianchi,/come
margherite/ al sole./Un presente/per ricordare/che la vita è tutta qui:/nient’altro che/attimi/immensi/
di felicità.”
Si conferma il talento della poetessa siciliana, di cui percepiamo uno stile più maturo, e un
linguaggio ancora più ponderoso e carico di significato, essenziale e scarnificato da orpelli inutili e
leziosi.
(fonte immagine: web)