«Il televisore è spento in casa Alpi il 20 marzo 1994. Uno squillo, alle ore 15, spezza il silenzio di una domenica pomeriggio, al telefono è una collega di Ilaria, Bianca Berlinguer: «Luciana, devo darti una brutta notizia… Ilaria è morta ». Intanto, l’Ansa ha già dato la notizia , firmata dal corrispondente Remigio Benni: «Somalia: uccisi due giornalisti italiani a Mogadiscio – Mogadiscio, 20 marzo – La giornalista del “Tg3” Ilaria Alpi e il suo operatore, del quale non si conosce ancora il nome, sono stati uccisi oggi pomeriggio a Mogadiscio nord in circostanze non ancora chiarite. Lo ha reso noto Giancarlo Marocchino, un autotrasportatore italiano che vive a Mogadiscio da dieci anni ».

Partiamo da questi terribili momenti tratti dal libro di Serena Marotta “Ciao, Ibtisam! Il caso Ilaria Alpi” pubblicato dalla casa editrice Informazione libera per ricordare Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, che sarà presentato alla Rai di viale Strasburgo, 19 alle 18 il prossimo 13 aprile.

Proprio il 17 aprile arriverà la decisione sulla richiesta di archiviazione presentata dalla Procura di Roma a firma del Sostituto Procuratore della Repubblica dottoressa Elisabetta Ceniccola con il visto del Procuratore Capo dottor Giuseppe Pignatone. Ilaria Alpi era una persona determinata, una «signora giornalista», una persona semplice e generosa. Ha tanto voluto quel viaggio, il settimo, l’ultimo. Con lei il 20 marzo 1994, a Mogadiscio, c’era l’operatore Miran Hrovatin di Videoest di Trieste. Quello è stato il loro ultimo viaggio. Sono passati ventiquattro anni da quell’esecuzione avvenuta per le strade di Mogadiscio. Ventiquattro anni senza conoscere la verità, tra depistaggi, false dichiarazioni, ritrattazioni.

 

 

Ci sono stati tre processi e una Commissione d’inchiesta parlamentare per tentare di dare un volto e un nome a chi ha voluto questo duplice omicidio. Due tesi opposte si sono fronteggiate in questi anni: quella della sparatoria conseguente a un maldestro tentativo di rapina, nel quale emerge la figura del capro espiatorio Hashi (il somalo arrestato e poi liberato dopo anni di carcere) contro quella, ben più consistente, di un attentato premeditato per bloccare le inchieste che Ilaria stava conducendo in terra somala su un coacervo di traffici illeciti di armi e rifiuti, scomode anche per l’Italia. “Ciao, Ibtisam” mette insieme i tasselli di un mosaico. Una storia che ha visto susseguirsi e precedere una serie di morti sospette. Il libro si apre con il racconto di quei momenti: l’agguato a Ilaria e Miran. Dal secondo capitolo, invece, incomincia a tracciare il percorso seguito dagli inquirenti che si sono occupati delle indagini sino ad arrivare al processo di primo grado del 1999 contro il somalo Hashi Omar Hassan. Per passare poi a delineare i fatti di cronaca del periodo in cui viene commesso il duplice omicidio. Quindi si parla dei due processi, quello della Corte d’Appello del 20 ottobre 2000 e d’Appello-bis del 10 maggio 2002, che vedono imputato ancora lui: Hashi, detto “Faudo”. La penultima parte è dedicata invece al lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Alpi-Hrovatin. Infine, l’ultimo capitolo ricostruisce le tappe di Ilaria e Miran nei dieci giorni trascorsi in Somalia: Mogadiscio, Balad, Merca, Johar, Bosaso, Gardo, Bosaso, Mogadiscio. Al libro è allegata la lettera che Giorgio Alpi, padre di Ilaria, ha scritto nel 2008 per ringraziare Serena Marotta per il «grande contributo a non dimenticare» svolto con il lavoro di questo libro, allora pubblicato come tesi di laurea.

di redazione