Avrà luogo stamattina l’udienza per decidere sull’archiviazione del caso Ilaria Alpi. In concomitanza si terrà un presidio a piazzale Clodio, a Roma, a partire dalle 9.30 con i rappresentanti di Fnsi, Usigrai, Cdr del Tg3, Cnog, Articolo21 e rete NoBavaglio. I rappresentanti dei giornalisti italiani si ritroveranno davanti al tribunale di Roma, appunto a piazzale Clodio, per chiedere che si continui a cercare la verità sull’assassinio dell’inviata del Tg3 Ilaria Alpi e dell’operatore di Videoest Miran hrovatin avvenuto a Mogadiscio il 20 marzo 1994.

Una richiesta di archiviare il procedimento che è stata avanzata dalla procura di Roma nel 2017 per l’impossibilità di risalire al movente e agli autori del duplice omicidio di Mogadiscio, avvenuto 24 anni fa a Mogadiscio, in Somalia. Un copione che si ripete: già nel 2007 c’era stato da parte della Procura di Roma un tentativo di archiviare il caso. Tentativo respinto dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma, Emanuele Cersosimo. Allora la richiesta di archiviazione era stata chiesta dal pm Franco Ionta, terzo magistrato che si è occupato del caso della giornalista uccisa a Mogadiscio. E prima ancora, a febbraio del 2006, ci aveva pensato la Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Alpi-Hrovatin con la sua verità politica. A dare un colpevole alla famiglia Alpi ci aveva pensato il testimone chiave: Ahmed Ali Rage detto Jelle. Così era stato condannato a 26 anni di reclusione Hashi Omar Hassan per concorso nell’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin il 20 marzo 1994. Quindi a Perugia, il 12 gennaio 2017, si legge nella sentenza: “…deve revocarsi la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Roma nei confronti di Hashi Omar Hassan, con conseguente assoluzione del predetto reato ascrittogli per non aver commesso il fatto…indipendentemente da chi fosse stato l’effettivo ‘suggeritore’ della versione dei fatti da fornire alla polizia… il soggetto Ahmed Ali Rage detto Jelle potrebbe essere stato coinvolto in un’attività di depistaggio di ampia portata… attività di depistaggio che ben possono essere avvalorate dalle modalità della ‘fuga’ del teste e dalle sue mancate concrete ricerche…”. Da qui la notizia emersa il 30 marzo di quest’anno che la Corte d’Appello di Perugia ha disposto un risarcimento per ingiusta detenzione di oltre 3 milioni di euro per Hashi, il somalo che ha scontato quasi 17 anni di carcere per l’assassinio di Mogadiscio. Nel 2012, esattamente il 10 ottobre, si è chiuso per prescrizione il processo per calunnia contro il testimone chiave Jelle.

Intanto sempre nel 2007 era stato scritto sull’ordinanza di rigetto del gip Cersosimo: «Da un’analisi complessiva degli elementi indiziari raccolti dagli inquirenti – si legge nell’ordinanza di rigetto del gip, che ribalda le conclusioni raggiunte finora dalla magistratura – la ricostruzione della vicenda più probabile e ragionevole appare essere quella dell’omicidio su commissione, attuato per impedire che le notizie raccolte da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in ordine ai traffici di armi e rifiuti tossici avvenuti tra l’Italia e la Somalia venissero portati a conoscenza dell’opinione pubblica italiana». Da allora sono passati dieci anni e si è tornati al punto di partenza: né un movente né gli esecutori. Eppure negli anni, 24 in tutto, è stato detto di tutto, è stato fatto di tutto per impedire che si arrivasse alla verità. È alla portata di tutti, l’ultima intervista fatta da Ilaria al sultano di Bosaso Abdullahi Moussa Bogor. È chiaro quello che stata cercando Ilaria. Lo ha anche confermato lo stesso Bogor l’8 febbraio del 2006 alla Commissione parlamentare d’inchiesta. Nel corso dell’intervista – durata tre ore e di cui arrivano in Italia solo 20 minuti di girato – Ilaria chiede al sultano di Mugne, della nave sequestrata, degli scandali della cooperazione italo-somala, delle armi, dei rifiuti tossici seppelliti lungo la strada Garoe-Bosaso. Tutti argomenti affrontati e confermati da Bogor. Sultano finito nel registro degli indagati, la cui posizione è stata successivamente archiviata, quando si è occupato di indagare il pm Pititto. Lo stesso che decide, dopo aver assunto l’incarico, di riesumare il corpo di Ilaria per effettuare l’autopsia. Autopsia che non era stata eseguita al rientro della sua salma in Italia. È lo stesso Pititto che riesce a far arrivare, attraverso la collaborazione con la Digos di Udine e la fonte confidenziale, i due testimoni oculari: la guardia del corpo e l’autista. Ma due giorni prima che questi venissero interrogati, Pititto viene sollevato dall’incarico. Perché?

Serena Marotta