Nel 2017, secondo un rapporto dell’ OBP, gli episodi di pirateria nel corno d’Africa sarebbero raddoppiati come conseguenza dello spostamento dei contingenti militari nel teatro del Mediterraneo inviati a contrastare la crisi dei migranti.

 

L’organizzazione no profit One Earth Future ha pubblicato il rapporto annuale sullo stato della pirateria nell’ambito del progetto Oceans Beyond Piracy (OBP), in tale rapporto The State of Maritime Piracy 2017,si evince come nel 2017 spariti gruppi di guerriglieri somali dediti alla pirateria abbiano messo a segno un totale di 54 assalti nel settore dell’Oceano Indiano Occidentale, decretando un aumento del 100% rispetto allo stesso periodo del 2016, in cui si erano registrati “soltanto” 27 assalti.

Questa recrudescenza dell’attività piratesca nel 2017 è attribuibile a diversi fattori: la riduzione del personale di sicurezza privata imbarcato sui mercantili come conseguenza del periodo di relativa calma registrato nel 2016 e lo spostamento del naviglio di alcune marine militari verso altri teatri operativi (la presenza della flotta russa, ad esempio, è ormai minima nella regione, complice la crisi siriana e lo spostamento di gran parte delle unità di superficie nel Mediterraneo).

Il 13 Marzo del 2017 viene sequestrata la petroliera Aris 13 battente bandiera delle isole Comore, bottino abbandonato dai sequestratori dopo poco più di 48 ore e che verrà riacquisito dalla società armatrice. Ciò nonostante l’episodio della Aris 13 costituisce un’importante campanello d’allarme dal momento che le bande armate di pirati non riuscivano a mettere a segno un colpo così grande dal 2010.

Bisogna evidenziare che questi nuovi pirati si sono rivelati molto meno esperti ed efficienti rispetto ai loro colleghi del 2010. La loro attività non segue precisi piani e sono spesso guidati dalla personale iniziativa, non coordinando gli attacchi e non riuscendo  ad imbastire precisi piani di pattugliamento delle rotte commerciali. La risposta a questa carenza organizzativa è da ricercare nelle misere condizioni economiche in cui versa la Somalia, dove migliaia di giovani disoccupati vengono spinti fra le braccia dei reclutatori con la prospettiva di guadagni facili e immediati e nell’iniquità di alcuni trattati internazionali che hanno concesso un largo uso delle coste somale a pescatori stranieri che sovente, praticando pesca illegale, distruggono l’ecosistema marino che garantisce il sostentamento di gran parte della popolazione a cui rimangono veramente poche scelte se non l’attività criminale.

Oltre all’utilizzo di guardie mercenarie sulle navi, al pattugliamento delle marine militari e alla generale repressione dell’attività piratesca un modo efficace per arginare il fenomeno sembrerebbe  quello di garantire delle entrate sufficienti alla popolazione della Somalia così da togliere ai reclutatori delle bande armate la principale materia prima con cui mettere a segno gli attacchi: i giovani disperati.

Il costo per la lotta alla pirateria in Africa orientale ha sfiorato gli 1,4 miliardi di dollari nel 2017, (di cui 292 milioni spesi per sicurezza imbarcata, mercenari ed equipaggiamento, e 199 milioni per attività navali internazionali, pattugliamento, soccorso e prevenzione) in calo, come già detto, rispetto a 1,7 miliardi del 2016 e assolutamente in picchiata rispetto ai 7 miliardi del 2010, il momento di massima attività piratesca da parte delle bande.

Appare chiaro come una soluzione definitiva alla questione degli attacchi potrà essere trovata solo con l’aiuto del governo somalo, rebus impossibile da risolvere se la Somalia non riuscirà a trovare stabilità interna e a produrre un governo forte in grado di controllare efficacemente il territorio.

Fabrizio Tralongo

4 giugno 2018

 

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