Gli occhi della donna erano due pozzi oscuri.

Due abissi, in cui si agitavano sconosciuti mostri marini.

Non c’era un solo uomo che, guardandovi dentro, fosse uscito vivo per raccontarlo.

L’uomo era sul tappeto, un tempo forse bianco, ora scuro di sangue rappreso. Era nudo, legato, in ginocchio.

La donna lo guardava dritto negli occhi, accarezzando il viso dolcemente con la lama di un coltello.

«Dimmi, tu vuoi vivere, vero?»

L’uomo fece segno di sì con la testa.

«Parla, fammi sentire la tua voce. Mi manca.» disse la donna con voce suadente.

L’uomo mugugnò qualcosa, con le lacrime agli occhi. Più di questo, non poteva fare, avrebbe fatto andare la lingua e parlato per ore. Le avrebbe raccontato tutta la sua vita e anche di più, avrebbe inventato storie ancora e ancora, se avesse potuto.

Ma la sua lingua era immobile e fredda, sul tappeto.

Il sangue sgorgava a fiotti, la vista si andava oscurando.

«Perchè non mi parli più? Un tempo, non riuscivi a stare lontano da me, avevi bisogno di parlare con me ogni giorno, ogni ora. E adesso? Parlami!» disse ancora una volta.

«Almeno guardami, allora. Guardami negli occhi. Come facevi un tempo.» disse, dandogli colpetti su una guancia, per scuoterlo dall’oblio in cui stava per cadere.

«Non deludermi, ve ne andate tutti troppo presto. Non fate che promettermi che rimarrete con me e invece, vi stancate subito. Guardami!» disse, dandogli un violento schiaffo

L’uomo raccolse le forze, le ultime, ormai stava calando il buio su di lui. Lo avrebbe accolto con gioia, non ce la faceva più. Mugugnò qualcosa di poco chiaro, ma nella sua mente vibrava fortissimo un pensiero: Fottiti!

Si stava liberando. La morte lo avrebbe liberato. Avrebbe vinto lui.

«Voglio i tuoi occhi. E li avrò!» disse la donna, afferrando il viso dell’uomo e infilando sotto la palpebra, la lama.

L’uomo sentì il gelo della lama penetrare, un calore rosso e poi più niente.

Il sangue cominciò a sgorgare dall’orbita destra, ormai vuota e un grumo biancastro, rotolò sul tappeto.

«Tutti uguali, voi uomini!» disse la donna, aprendo la gabbia alle sue spalle.

«Vai a pulire sto casino.» disse all’uomo che si affrettò a riempire il secchio d’acqua.

«Tu sei l’unico che mi ama, vero, tesoro?» L’uomo fece segno di sì con la testa, facendo tintinnare la catena che aveva al collo, le labbra erano state cucite il mese precedente.

«Dopo, fatti la doccia e vieni. Ho voglia di te, adesso»

La donna lo aspettava sul letto. L’uomo si spogliò, e iniziò a toccarla tra le gambe. Lei era bagnata e calda e urlò di piacere dopo qualche secondo.

Il rito era sempre lo stesso e sempre brevissimo.

Prese il membro dell’uomo nella mano destra e iniziò ad accarezzarlo, finché non arrivò un’erezione potente, che l’uomo odiava con tutte le sue forze.

Odiava che quella donna riuscisse a eccitarlo, eppure era così e lei sapeva il disgusto che gli provocava.

E ne godeva.

L’uomo le montò sopra e la penetrò. Al momento dell’orgasmo, uscì da lei e venne sulle lenzuola. Dopo avrebbe dovuto lavarle.

Stramazzò sul letto, esausto e annichilito dall’orrore che si perpetrava ogni volta, con una cadenza mensile, che culminava con il periodo fertile della donna.

Il giorno dopo sarebbe andata a caccia della prossima preda. Nessuno aveva resistito, solo lui ed era diventato il suo schiavo.

L’uomo era insieme terrorizzato e felice della situazione. Non osava immaginare cosa sarebbe potuto accadere se avesse avuto un rimpiazzo. Lo avrebbe finito? Era probabile.

«Adesso, girati.» disse la donna.

Questo era il momento peggiore, ma non aveva alternative.

L’uomo si girò. Giacendo sulla pancia, sottomesso e rassegnato.

La donna incise col coltello una x sulla schiena dell’uomo. Era la quarta.

L’uomo era lì da quattro mesi. Sperava che qualcuno venisse a liberarlo e resisteva solo per quello.

«Adesso, pulisci pure qui. Tra un’ora torno e voglio trovarti al tuo posto.»

L’uomo fece segno di sì.

Il suo posto.

La gabbia.

La donna poi, l’avrebbe chiusa a chiave. Non era necessario, era in una stanza di cemento armato, chiusa da una pesante porta blindata, ma lei non voleva solo che lui non fuggisse, voleva anche annientarlo, voleva umiliarlo.

L’uomo fece ciò che doveva, con il dolore che esplodeva a ogni movimento, ma non si fermò. Se non si fosse fatto trovare al suo posto, lei avrebbe architettato una punizione terribile.

Dopo cinquanta minuti esatti, andò a mettersi al suo posto, aspettando che arrivasse la donna.

Era in ritardo, e il panico crebbe.

Senza di lei non avrebbe resistito, non aveva cibo, né acqua e per nutrirsi lei gli portava enormi frullati da bere con una cannuccia, che introduceva nell’unico spazio tra i punti che gli cucivano le labbra.

Era in ritardo. Non era mai successo.

Si appisolò, nonostante il terrore. Sarebbe morto.

Si risvegliò, consapevole che qualcosa era cambiato.

La donna lo guardava, seduta su una sedia. Il sollievo di rivederla, si mischiò al terrore. Cos’era quella novità?

«Sei stato bravo. Adesso ti faccio mangiare, hai fame?» l’uomo fece segno di sì con la testa.

La donna avvicinò una tazza colma di frullato di frutta e gli mise la cannuccia tra le labbra.

Aveva un retrogusto cattivo.

L’uomo capì che c’era dentro qualcosa, ma all’improvviso non gli importò nulla. Aveva troppa fame e troppa sete e comunque, era sempre meglio non contraddirla.

Si sdraiò sul materasso fetido e attese. Sarebbe stato quel che sarebbe stato.

Le convulsioni iniziarono dopo un attimo, ma non furono quelle a ucciderlo. L’uomo vomitò, del materiale colò tra le labbra cucite, ma tutto il resto ingorgò le vie respiratorie.

Morì soffocato.

La donna si alzò.

«Gli uomini non hanno palle. Dopo un po’, fanno tutto quello che gli chiedi.» disse, facendo entrare una splendida donna nuda.

«Vediamo se le donne sono più forti!» disse, sorridendo.