Quanti di noi  hanno sognato, pianto, riflettuto e imprecato dietro le canzoni di Claudio Lolli? Di certo quelli che hanno avuto il privilegio di apprezzarlo nel momento clou della sua produzione artistico-musicale non lo hanno dimenticato. Claudio Lolli se ne va dopo una lunga malattia alla età di sessantotto anni, lasciandoci un patrimonio artistico e culturale di primissimo piano sia musicalmente che testualmente. Ci lascia silenziosamente cosi come ha vissuto la sua vita, con quella signorilità che si addice agli artisti del suo calibro, dediti solo all’arte. Claudio Lolli ha avuto la  sua maggiore notorietà nella metà degli anni settanta  soprattutto con un Lp chiamato “Ho visto anche degli zingari felici”, un disco che lo ha consacrato al grande pubblico della contestazione di quel periodo, posizionandolo assieme ad altri mostri sacri della canzone d’autore italiana ai vertici di un fermento culturale durato oltre dieci anni. Assieme a Francesco Guccini, Fabrizio De Andrè, Edoardo Bennato, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Francesco De Gregori, Antonello Venditti animarono quella voglia di cambiamento che il Paese aveva ereditato da un sessantotto abbastanza lontano nel ricordo ma che politicamente e socialmente aveva gettato le basi per la speranza di un riscatto delle classi più abiette. E’ del 1972 l’uscita del suo primo disco dal titolo “Aspettando Godot, dove tratta diversi temi che fanno da preludio a quella che è stata una carriera  spesso non molto paga. Negli anni ottanta dopo avere conseguito la laurea in lettere comincia ad insegnare al liceo scientifico Leonardo Da Vinci. Nel 2017, con l’album “Il grande freddo” gli viene assegnata la targa Tenco , quale miglior disco dell’anno in assoluto. Vogliamo ricordare Claudio Lolli in silenzio con la sua pacata e signorile presenza, nel ricordo di un uomo che ha dato il suo contributo per un miglioramento culturale, politico e sociale del nostro Paese.

Che la terra ti sia lieve.

Liborio Martorana

 

(fonte immagine web)