di Giandiego Marigo

Avevo promesso, a me stesso, che non mi sarei più occupato “direttamente” di politica, mantenendomi, per individuale ispirazione, nell’area libertaria e scegliendo una via di trasformazione personale.

Farò uno strappo a questa regola, mantenendomi, però, sulle generali. Con un metodo d’indagine “Metafisico” come qualcuno ha definito il mio stile di scrittura ;  ma con un intento partecipativo, perchè resta pur vero … sempre che se non ci si occupa della politica prima o dopo la politica si occuperà di noi.

La riflessione che farò parte da un assioma matematico e dall’analisi dei flussi elettorali nelle recenti elezioni in Emilia-Romagna.

Le città hanno votato PD, mentre le piccole realtà ed i ceti bassi hanno preferito la Lega. Inoltre l’area radical frantumata, e predestinata alla sconfittaha ha ottenuto un risultato, decisamente, umiliante.

Mentre per contro l’area della Destra più connotata in senso fascista incassa  più dell’8% con le medesime caratteristiche di flussi elettorali della Lega.

La domanda è semplice: Perchè i ceti bassi votano a destra? Cosa è avvenuto che abbia spostato proprio in Emilia-Romagna in modo così consistente la realtà storica di una regione che è stata culla del movimento contadino e cooperativo?

Considerando che questo fenomeno riguarda anche la Lombardia ed il Piemonte ed infetta in modo anacronistico persino il Sud, cosa ha portato la classe al disgusto per la cosiddetta Sinistra? Ed il voto piccolo borghese ed intellettuale (quello dei garantiti)  può compensare il vuoto lasciato in quella che vorremmo chiamare sinistra dall’assenza delle classi più basse ed impoverite (dell’area più precaria ed in esponenziale aumento)? L’Area, sempre crescente, del non voto, di quanta Area Progressista è popolata?

La politica dell’Area di Progresso si pone queste domande? Oppure la compulsione alla “centralizzazione” ha fatto completamente dimenticare le ascendenze e la storia?

La tradizione politica dell’AreA dovrebbe essere rivolta alle classi meno abbienti? Essa nasce dalla loro coscienza e dalla graduale alfabetizzazione, dall’egualitarismo e dall’esigenza della redistribuzione della ricchezza, quanto è ancora vero questo?

Se proprio il PD nella sua parabola discendente e nel marasma delle sue eterne contrazioni oggi è portatore non troppo sano di Liberismo? Se il linguaggio del Liberismo selvaggio e tanto radicato da permettere al populismo di destra di cavalcarne le manchevolezze e gli attacchi alla classe dei meno abbienti. Certo in modo strumentale e finalizzato, senza una reale proposta d’alternativa, con un collaborazionismo nascosto, ma comunque tanto efficace da produrre la migrazione dei voti (teleguidati anche dallo svuotamento culturale) di quelli che dovrebbero essere la struttura e lo zoccolo duro del “pensiero di sinistra”. Cosa significa se questo avviene su scala mondiale?

Sono domande importanti queste a cui “i pensatori” dell’AreA dovrebbero rispondere, così come dovrebbero elaborare una strategia per la ridistribuzione della ricchezza in vista della trasformazione della nostra civiltà verso il 4.0.

Se le risposte spirituali, filosofiche e morali sono arretrate, conservative, piccolo borghesi nella sostanza come si può pensare che si crei questo collegamento con le classi popolari, preda dell’ipnosi collettiva del modello capitalistico-consumista e piegate dai Media e dalle loro canzoni?

Ho fatto spesso questo discorso, certo, ma lo voglio rifare, ancora una volta, per potermi guardare allo specchio senza la voglia di sputarmi in faccia. Ormai non è più nemmeno una questione di linguaggio che è livellato ed uniformato al “pensiero unico” da qualsiasi presunta fazione provenga e proprio per questo lascia al populismo delle chiacchiere, dell’urlo compulsivo, e dell’insulto volgare tutto il terreno di cui abbisogna.

Possono bastare Le Sardine, pure nella loro indubbia originalità e simpatia, a invertire questa rotta?

La qualità dell’inversione di marcia dovrebbe avere uno spessore molto più consistente e toccare in modo molto più diretto e profondo i comportamenti ed i motivi che li muovono.

Eppure resta l’oggettività che sia nei campi del Possibile che ci si debba impegnare, per poter iniziare quell’indispensabile movimento che potrebbe causare il Cambiamento di Paradigma.

Qui sorge spontanea l’ultima grande domanda. Esiste un’area intellettuale e spiritualmente altra che sia in grado di proporre, in modo tangibile e comprensibile, questo “bisogno impellente di cambiare”. A questa domanda , sinceramente, non c’è risposta, non qui e non da parte nostra, che non sia l’esibizione della nostra stessa volontà, del nostro stesso impegno e della nostra stessa disponibilità interiore al cambiamento ed alla maturazione spirituale.