Profondo sconcerto, rabbia, impotenza, incredulità, sgomento, sfiducia. È quanto sta vivendo in questo momento Emanuela Alajmo insieme alla sua famiglia. Nel giro di due giorni, infatti, lo storico Bar del Bivio, la cui storia ha riempito e pagine di cronaca ma anche numerosi atti processuali, è stato depredato di tutto quello che si poteva portare via. Il tutto, nell’assoluta indifferenza e nel silenzio del curatore fallimentare che avrebbe dovuto vigilare sul bene, tutelandolo anche da quanto invece accaduto.

Il primo furto nella notte tra il 7 e 8 agosto, durante il quale è stata portata via la gran parte delle attrezzature e messo fuori uso quel che restava. Il completamento dell’opera la notte scorsa con le restanti cose.

«Siamo molto delusi e amareggiati – afferma Lorenzo Catalano, il figlio della Alajmo -, anche perché hanno mandato in mille frantumi il nostro sogno di riscatto. Come se avessero volutamente che questo accadesse per imputare la responsabilità ad altri. Sarebbe stato più giusto riconsegnarci il bene mentre era ancora attivo e lavorava come e più di una volta». 

Emanuela Alajmo e il figlio Lorenzo Catalano

Emanuela Alajmo e Lorenzo Catalano

Questo, anche successivamente al distacco dell’energia elettrica, avvenuto ai primi del 2015, dopo che l’amministratore giudiziario, l’avvocato Carlo Di Rosa, lo aveva chiuso per ovvia incapacità di gestirlo.

E fu proprio dopo la chiusura, in seguito alla quale altri vandali avevano deciso di distruggere parte dell’arredo, che Emanuela Alajmo aveva chiesto di rientrare in possesso del suo bene per farlo tornare a essere quella fonte di guadagno che è stata per anni non solo per la famiglia e chi ci ha nel tempo lavorato, ma anche e soprattutto per la borgata, essendo da sempre luogo di aggregazione per molti.  Così come nel lontano 1954, quando la famiglia di Emanuela Alajmo decise di aprire questo esercizio commerciale, diventando in poco tempo punto di riferimento per l’intera città e per quanti, passando di lì, lo trovavano funzionante  24 ore su 24.

«Avevamo ristrutturato il locale – prosegue Lorenzo – in previsione di una ripartita, visto che teoricamente la settimana scorsa avrebbero dovuto riconsegnarci il bar. Dopo quanto accaduto, però, non so più cosa pensare.  Ora non ci resta che fare la conta dei danni. La notte scorsa hanno completato l’opera, senza che nessuno muovesse un dito per impedirlo. Tutto ciò mi fa solo dire che non esiste controllo del territorio, come del resto non esiste la tutela che per i beni altrui – peraltro creati con sacrifici, privazioni e dolore – sottoposti a misure di prevenzione,. Quello che fa ancora più male è che, il loro versare in uno stato di totale abbandono e devastazione è dovuto all’incuria di soggetti nominati per la sua tutela e salvaguardia, ai quali vengono affidati dallo Stato italiano per la buona amministrazione. Il nostro Bar del Bivio oggi si trova in uno stato ancora peggiore di come lo si trovava il 2010 quando, supportati dallo Stato, ci siamo impegnati a riattivare l’attività produttiva storica della nostra famiglia». 

Fa, infatti, veramente malvetrinae rendersi conto che la giustizia che oggi vige in Italia è tanto lenta da apparire troppo spesso ingiusta.

«Non è proprio possibile che a tutto ciò non si possa mettere un punto e andare a capo – si chiede estremamente sconfortata la Alajmo, anche in qualità di presidente del Coordinamento vittime del racket e dell’usura, quindi in tutela di tanti altri in analoghe situazioni -. Quello che mi chiedo io è dov’è lo Stato, dove sono le garanzie per cittadini che, come noi, hanno denunciato e da anni pagano sulla propria pelle errori solo in parte personali. Perché questa indifferenza, perché questa incapacità a dare risposte certe? Perché chi vuole lavorare onestamente e dare un contributo a questa terra, non può essere messo nelle condizioni di farlo? È incredibile e improponibile sentirsi rispondere che non si può fare nulla da parte di chi ricopre posti di responsabilità».

Nonostante la denuncia fatta e l’allarme sollevato, è veramente forte il timore che non si possa evitare un terzo e forse quarto furto, fino a quando a restare saranno solo le mura e una bella insegna pronta a raccontare – sino a quando qualcuno avrà la forza e la voglia di farlo –  del “fu Bar del Bivio”unnamed (6)

E sarà veramente triste rendersi conto che, tutto sommato, con una maggiore attenzione e vicinanza nei confronti della famiglia di Emanuela Alajmo si sarebbe potuto fare qualcosa, dando modo a una realtà imprenditoriale del nostro territorio di tornare a essere produttiva e moltiplicatrice di risorse positive, non solo per la borgata in cui insiste ma anche per il resto della città.

Perché ogni volta che un esercizio commerciale muore, ogni volta che un imprenditore decide di mollare la presa, il largo non si fa certo a un’altra attività imprenditoriale ma alla mafia, tanto ingorda e insaziabile da non avere pietà per nessuno e desiderare di inghiottire giorno dopo giorno tutte quelle parti sane e oneste della nostra società.