Federico De Roberto, nei “Vicerè” (1904), narra la storia dei nobili catanesi Uzeda tra il 1855 e il 1882 comprendendo in questo spazio temporale l’impresa di Garibaldi e l’adesione della Sicilia al regno sabaudo; un racconto visto esclusivamente dal punto di vista dell’aristocrazia mentre il popolo appare solo come sfondo in pochi episodi in tutto il romanzo. De Roberto mette in scena il trasformismo della classe dominante che si adatta alla nuova situazione espellendo cinicamente i sinceri democratici e venendo a patti con la propria coscienza pur di continuare a comandare.

La frase “Quando c’erano i Vicerè, i nostri erano Vicerè; adesso che abbiamo il Parlamento, lo zio duca è deputato” ha una analogia con la più famosa “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” del “Gattopardo” (1956) di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ambientato negli anni 1860 – 1880. Qui la narrazione comprende anche il punto di vista del popolo, ma soprattutto tratteggia, nella figura di Calogero Sedara, che il Principe raccomanda allo spaesato piemontese Chevalley come senatore, la nuova classe borghese vincente. Più approfondita è l’analisi racchiusa nella frase “Noi fummo i gattopardi, i leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le jene; e tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra”.

Un punto di vista particolare sugli avvenimenti del 1860 in Sicilia compare nel “Sorriso dell’ignoto marinaio” (1997) di Vincenzo Consolo, dove si descrive, con lo stile particolare dell’autore che mescola la narrazione alla esibizione di memorie e documenti e che riporta nelle parole della gente l’idioma sanfratellano, lo scoppio di una delle rivolte contadine contro i feudatari di Alcara li Fusi, nel messinese, scatenate dall’arrivo dei garibaldini. La descrizione della durissima repressione della rivolta effettuata con l’inganno da parte dei luogotenenti di Garibaldi è di particolare impatto e crudezza.

Tre modi di leggere uno dei momenti cruciali della storia d’Italia e della Sicilia.

Fabrizio Vasile

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