E’ ripresa su pagine on-line chiaramente vicine alle forze politiche attualmente al governo una pressante campagna anti-euro finalizzata ad una “criminalizzazione” della moneta unica, imputata di aver causato il dissesto economico dell’Italia, che agisce anche presentando, all’esterno, realtà come l’Islanda “riscattate” dal “pesante giogo monetario” (non entrando, tuttavia, nel merito della svalutazione subita dalla ripristinata moneta nazionale).
Le forze di destra e tradizionalmente anti-europeiste (e tra esse, a questo punto, inserirei anche il M5S) ammiccano a Putin, Salvini incontra platealmente Orban (anche lui ammiccante a Putin) e, nel pieno dell’offensiva economica internazionale di Trump, Meloni riceve il “profeta del sovranismo”, Steve Bannon, la cui missione sembra proprio quella di rinforzare le ideologie nazionaliste per screditare l’Europa e, in fin dei conti, per indebolire l’euro.
Indubbia è stata la problematicità dell’introduzione dell’euro in Italia, decisamente non governata e affidata, nonostante i “convertitori” lira-euro inviatici da Berlusconi (ve li ricordate?), alla libera improvvisazione del mercato interno, determinando, praticamente, il raddoppio dei costi di vari generi di ordinario consumo e, in molti casi, il quasi dimezzamento del potere di acquisto dei salari.
Nonostante tutto, l’euro è entrato anche nel DNA italiano consentendo, alla fine, un’importante semplificazione delle mobilità commerciali, culturali e umane con i Paesi che hanno adottato la stessa moneta.
La credibilità dell’euro si è fortemente imposta sul mercato internazionale confrontandosi, talvolta, con tassi di cambio favorevoli (tendenza ora in fase di netta inversione) con il dollaro USA.
In ogni caso gli europei hanno potuto contare sulla solidità dell’euro che ne ha garantito risparmi e investimenti.
Sul piano politico e delle relazioni con le altre potenze extraeuropee, sia pure con tutte le bagarre interne, l’Europa ha rappresentato un blocco accomunato da alcuni importanti interessi che l’hanno posta su un piano di interlocutrice importante e, soprattutto, economicamente salda e forte.
Le due grandi potenze, USA e Russia, hanno dovuto confrontarsi con una realtà economica e, in parte, politica che non ha più consentito facilissime ingerenze, soprattutto nel mercato, ma anche sul piano della “produzione” culturale.
Si è determinata una concentrazione di forze economiche, produttive e imprenditoriali ben diversa da un frazionato universo in cui era più facile penetrare, che non poteva proporsi come presenza politica ed economica significativa.
Una realtà, insomma, davanti alla quale si è ritenuto necessario adottare la vecchia ed efficace strategia del potere, divide et impera, tanto più semplice da adottare quanto più debole è stata, ed è, la percezione culturale di unione e di reale comunanza di interessi tra i Paesi europei.
I nazionalismi in Europa svolgono proprio questo ruolo di sfaldamento di una giovane unione che, faticosamente, ha cercato di individuare e condividere obiettivi di crescita e di sviluppo.
L’impegno civile e di sopravvivenza economica dei Paesi europei oggi non può che essere quello di arginare gli attacchi di chi, per proprie mire espansionistiche, vuole vedere ancora un’Europa frazionata e debole, possibilmente senza l’euro, magari utilizzando (solamente con strumenti ideologici?) occasioni endogene in grado di produrre ideologie (nell’eccezione marxiana del termine) funzionali al proprio vantaggio.
E la disunione, lo sappiamo, non fa la forza!

Fabrizio Mangione

(fonte immagine web)