Liborio Martorana                                                                                                        03/07/2020          Ci sono voluti la bellezza di trentuno anni  per smuovere qualcosa sula uccisione di Nino Agostino e della moglie Ida. Trentuno anni passati a ricercare verità e giustizia da parte della famiglia e degli amici più vicini. Trentuno anni farciti di depistaggi, e tentativi di addossare colpe a personaggi che con il duplice omicidio non c’entravano niente.  Depistaggi messi in atto dai vertici della polizia, dove è emblematico il fatto che, secondo le parole di Vincenzo Agostino, il fù questore ed agente dei servizi segreti  Arnaldo La Barbera gli mostrava durante un colloquio, una foto di Vincenzo Scarantino (il pupo vestito) per cercare di estorcere una accusa da parte dell’Agostino nei confronti del testimone farlocco della strage di via D’Amelio. Oppure le carte sequestrate a casa di Nino Agostino subito dopo il duplice omicidio e mai mostrate alla famiglia sebbene questa ne abbia fatto sempre richiesta. Ci sono voluti ben trentuno anni e la testardaggine della Procura Generale nel chiedere l’avocazione a se dell’inchiesta arenatasi nei meandri della procura di Palermo per portare fuori Un inizio di verità.  In tutti questi anni, la famiglia Agostino non si è mai arresa di fronte alla evidenza dei depistaggi e del nulla di fatto  che c’è stato prima della richiesta di avocazione da parte della Procura Generale di Palermo. Una famiglia che ha visto sin dal’inizio il depistaggio messo in atto da “servitori dello stato”  dove si diceva che la morte di Nino Agostino era un fatto di femmine, questioni amorose e dove la suddetta famiglia ha sempre difeso il proprio figlio, ed attaccare quegli organi corrotti che del depistaggio sono stati gli artefici. Una famiglia che durante questi anni ha visto la perdita della signora Augusta madre di Nino Agostino,  la quale ha girato il nostro Paese in lungo ed in largo portando assieme al marito Vincenzo,  la testimonianza del proprio figlio e della di lui giovane moglie al quinto mese di gravidanza. La signora Augusta ha voluto che fosse inciso nella sua lapide che anche dopo la sua morte, in attesa di verità e giustizia. Oggi sembra che qualcosa si stia muovendo, ed il rinvio a giudizio dei mafiosi Scotto e Madonia sono un primo passo verso quella verità e giustizia che da trentuno anni questa famiglia cerca. Trentuno anni dove personaggi poco raccomandabili i hanno sguazzato nel pantano di questa storia senza alcun minimo rispetto per due genitori che hanno dovuto subire l’onta della privazione del proprio figlio  vivendo del ricordo, un ricordo che suona come un enorme peso, come una condanna all’ergastolo;  si proprio di un ergastolo si tratta, come se fossero loro i condannati. Da qui la famiglia Agostino e tutti coloro che le stati vicini in questi anni, statene certi che non abbandoneranno quella ricerca di verità e giustizia tanto cara alla signora Augusta.

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