Tommaso Gioietta

 

A chi non è mai capitato di trovarsi nella situazione in cui qualcuno ha fatto il prepotente con lui o lei o con qualcuno che si conosce? Ahimè, probabilmente a tanti.

È facile prendersela con i più deboli. Tante volte ci vuole ben poco a chiamare grassa una ragazza non rendendosi conto che lei magari impiegherà la sua vita a morire di fame o a soffrire di disturbi alimentari.

“Pensa prima di agire” è il motto che dovrebbero insegnare prima i genitori ai propri figli e poi gli insegnanti a scuola; spesso, invece, imperversa la credenza che solo dicendo tutto quello che si pensa, anche se può essere offensivo per gli altri, si è veri e sinceri.

Chi si serve della sua aggressività e della sua rabbia per ottenere quello che vuole prende generalmente di mira qualcuno che non riesce a difendersi da solo o che considera diverso sotto qualche aspetto.

Per bullismo si intendono, appunto, tutte quelle azioni di sistematica prevaricazione e sopruso messe in atto da parte di un bullo (bambino, bambina o adolescente) o da parte di un gruppo nei confronti di una vittima (bambino, bambina o adolescente) percepita come più debole. I protagonisti condividono lo stesso contesto, più comunemente la scuola, e sono sempre in età scolare.

In inglese bullying da to bull significa usare prepotenza, maltrattare, intimidire, intimorire. Il termine si riferisce al fenomeno nel suo complesso e include i comportamenti del bullo, quelli della vittima e anche di chi assiste (gli osservatori). Si agisce nei confronti di persone considerate come bersagli deboli e incapaci di difendersi e gli atti di prepotenza, le molestie o le aggressioni sono intenzionali, cioè sono messi in atto dal bullo (o dai bulli) per provocare un danno alla vittima o anche solo per divertimento. Inoltre c’è persistenza nel tempo poiché le azioni dei bulli durano per settimane, mesi o anni e sono ripetute.

Altra caratteristica del bullismo è l’asimmetria nella relazione, cioè uno squilibrio di potere tra chi compie l’azione e chi la subisce, ad esempio per ragioni di forza, di genere o di età. La vittima solitamente non è capace di difendersi, viene isolata e ha paura di denunciare gli episodi di bullismo perché teme delle ripercussioni o vendette.

È possibile distinguere tra bullismo diretto e indiretto. Il primo comprende attacchi espliciti nei confronti della vittima e può essere di tipo fisico o verbale mentre il secondo danneggia la vittima nelle sue relazioni con le altre persone, attraverso atti come l’esclusione dal gruppo dei pari, l’isolamento, la diffusione di pettegolezzi e calunnie sul suo conto, il danneggiamento dei suoi rapporti di amicizia.

L’intenzione del bullo è quella di mettere paura e di fare in modo di sentirsi grande e forte, così che gli altri possano pensare che è potente, che ha successo, che tiene tutto e tutti sotto controllo. In realtà dietro questa maschera di apparenza spesso si trova una persona che ha delle difficoltà, che non sta bene con se stessa e con gli altri.

Spesso comportamenti violenti come offese, parolacce, insulti, derisione per l’aspetto fisico o per il modo di parlare, diffamazione, esclusione per le proprie opinioni e aggressioni fisiche vengono giustificati dai bulli ma anche dai loro genitori come uno scherzo per divertirsi tutti insieme e non per ferire l’altro. Così facendo si tende a sminuire ogni atto o comportamento che invece andrebbe preso seriamente in considerazione.

Oggi più di ieri, inoltre, imperversa il fenomeno del Cyberbullismo, cioè quando le azioni di bullismo si verificano attraverso il web (social network come Facebook, chat come gruppi di Messenger, posta elettronica, blog e forum online) o attraverso il telefono cellulare (ad esempio con i gruppi WhatsApp). Così facendo il bullo può mantenere nella rete l’anonimato attraverso un profilo falso, per esempio, ha il pubblico del Web che è più vasto e può controllare le informazioni personali della sua vittima. Al contrario, la vittima non sempre ha la possibilità di vedere il volto del suo aggressore e può avere una scarsa conoscenza circa i rischi che si corrono nella condivisione delle informazioni personali su Internet.

Ma perché si viene bullizzati? In genere viene preso di mira chi risulta diverso per un qualche motivo, ad esempio obesi, omosessuali, lesbiche, bisex, etc., persone con difetti fisici o ritardi mentali, secchioni, extracomunitari e svantaggiati socialmente.

Sempre più spesso arrivano notizie dai media di vittime di bullismo omofobico che possono indurre ad atti estremi come quello del suicidio.

Possiamo riconoscere e distinguere le caratteristiche del bullismo omofobico soprattutto quando le prepotenze chiamano in causa una dimensione specificatamente sessuale, poiché l’attacco è rivolto più alla sessualità che alla persona in sé. La vittima in questo caso ha una maggiore difficoltà a chiedere aiuto per gli intensi vissuti di ansia e vergogna e perché non trova figure protettive, infatti “difendere un finocchio” comporta il rischio di essere considerati omosessuali. La discriminazione omofobica può portare a vivere la scuola con disagio, aumentando l’insicurezza personale e relazionale, con conseguente possibilità di abbandonare gli studi e di non potersi inserire nel mondo del lavoro. La discriminazione subita a scuola prima e dalla società poi espone gli omosessuali a un maggior rischio di disturbi dell’umore e consumo di sostanze quali nicotina, alcool e marijuana; oltre che un continuo attacco alla propria autostima. A causa della stigmatizzazione sociale ogni anno aumenta sempre più il numero dei giovani omosessuali che si tolgono la vita o che tentano il suicidio.

Le vittime del bullismo hanno bisogno del supporto della scuola, dei loro genitori e degli amici. I bambini vittime di bullismo invece hanno paura di raccontare perché preoccupati delle ritorsioni del bullo e delle reazioni che possono avere i loro genitori.

Tante volte i genitori preoccupati e terrorizzati del fatto che i loro figli possano essere vittime di bullismo non sanno cosa fare per identificare i sintomi o campanelli d’allarme. In realtà ci sono dei segnali che possono aiutare ad identificare episodi di bullismo, legati soprattutto a comportamenti e stati d’animo come: insoddisfazione verso se stessi, sentimenti di tristezza, avere strani lividi e graffi, difficoltà ad addormentarsi, non avere voglia di uscire, non mangiare nello stesso modo di prima (troppo o poco), dolori fisici come mal di testa e mal di stomaco, non volere più andare a scuola o fare le cose che si facevano prima, comportamenti diversi dal solito, beni personali guasti inspiegabilmente, perdita di denaro e perdita di oggetti personali.

Credo che l’aiuto maggiore che possa dare un genitore al proprio figlio sia quello di insegnargli sin da piccolo a credere in se stesso ed a farlo sentire accettato. La nostra cultura ci ha educato al “ti voglio bene se…farai il bravo…se otterrai dei buoni risultati…se farai felice i tuoi genitori, la tua maestra…”. Non siamo stati educati al “ti voglio bene…per quello che sei”. Noi stessi ci amiamo se siamo belli, bravi, se seguiamo le regole, se non commettiamo errori.

I genitori spesso trasmettono ai loro figli alcune convinzioni, ad esempio “il giudizio degli altri è molto importante per te. Devi cercare di comportarti in modo da essere sempre accettato dagli altri”. Il valore che sta alla base di queste convinzioni è che “un individuo vale nella misura in cui viene considerato ed apprezzato dalle persone che incontra”.

Per aiutare il proprio figlio che subisce bullismo sicuramente bisogna prima rassicurarlo del fatto che si sta dalla sua parte e che lo si ama, poi che essere vittima non è una colpa e fargli capire che è utile parlarne con qualcuno e che non si deve vergognare per questo. Inoltre, occorre informarsi su ciò che avviene a scuola durante la ricreazione o quando torna a casa e su quali compagni potrebbe fare riferimento per farsi aiutare. Molto utile parlarne con gli insegnanti per vigilare sugli alunni, però sempre meglio ottenerne il consenso prima da parte del figlio o della figlia. Inoltre, se si ritiene  che sia fortemente a rischio meglio non mandarlo a scuola fino a quando la situazione ritorna sotto controllo.

La scuola dovrebbe fare tanto per sensibilizzare sul tema in modo da mantenere un ambiente sicuro per i propri studenti e libero da ogni forma di violenza. Inoltre, sarebbe auspicabile coinvolgere le figure specialistiche come quelle degli psicologi in progetti e sportelli d’ascolto rivolti agli studenti.

Molto utile anche informare i giovani dell’esistenza del “Telefono Azzurro”, associazione che da oltre vent’anni è impegnata nella prevenzione e nella cura delle situazioni di disagio, affrontando i problemi dell’infanzia e dell’adolescenza in un’ottica nazionale, europea e internazionale. Il Centro Nazionale di Ascolto di Telefono Azzurro dispone della Linea gratuita 196 96, attivo in tutta Italia 24 ore su 24, per 365 giorni all’anno. La linea telefonica è a disposizione di tutti i bambini e gli adolescenti fino a 14 anni di età che desiderano parlare con un consulente (psicologo o pedagogista) per affrontare il proprio disagio mentre la Linea Istituzionale 199 15 15 15 è a disposizione dei ragazzi oltre i 14 anni e degli adulti.

 

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